Berrettini, il “demolitore” pentito

La storia questa volta ribolle di suggestioni psicologiche, e non sapremmo quale titolo affidarle, se non sommando i momenti centrali del match

A volte Matteo incanta. Anzi, quasi sempre. Lo fa quando sembra volteggiare fra le asperità più acute dei match, aprendo strade che non mostrano pertugi, scansando, dribblando o abbattendo ostacoli con la stessa rapida efficienza di un videogioco.

Guerriero e ballerino, dunque a suo modo un artista, anche se non lo direste mai, visti gli spari che produce. Altre volte ammalia con quel suo modo di incombere sul match, e sembra ingrandirsi a ogni punto che incamera, inesorabile blog che intride di sé tutti gli spazi del campo. È un’esperienza che vale, osservarlo e coglierne le intenzioni, o gli affanni. Anche nelle pieces più dolenti del suo tennis teatrale, quando lo stringono in catene che non sa spezzare, o come ieri, quando mette in scena personaggi non insoliti, ma enigmatici e ricchi di sfumature. La storia questa volta ribolle di suggestioni psicologiche, e non sapremmo quale titolo affidarle, se non sommando i momenti centrali del match. Forse… Il Demolitor Pentito. Sottotitolo: come regalare altrui una semifinale che sembrava già scritta.

Tranquillo, Matteo. Ti sei appena iscritto a una lista di attori di grande spessore, che sanno come strappare le emozioni dalle nostre anime. Su quei campi abbiamo visto regalare finali e vittorie, altro che semifinali, e se hai voglia di leggere i nomi che hanno condiviso quello stesso malessere che ora ti scuote dentro, sordo e lancinante come un mal di denti, al primo posto trovi nientemeno che Federer, dissipatore di due match point nel 2006 al cospetto di Nadal. Eppure, anche tu hai saputo aggiungere un tocco di magnificenza alla recita. Perché hai capovolto la trama quando nessuno se l’aspettava. Avevi fantasmino Casper fra le mani, lo avevi sgambettato già nel primo game, e avevi ribattuto con regale noncuranza ogni sua successiva velleità di rimettersi in gioco. Tre volte a 30-40 sul tuo servizio, e giù legnate sul povero Ruud. Filava tutto liscio, e non c’erano motivi per lasciarsi prendere dai dubbi. E allora, perché?

“Par delicatesse, j’ai perdu ma vie”. Il verso è di Rimbaud. Per gentilezza, ho perduto la mia vita… C’è rimedio? Uno te lo suggerisce il poeta della giovinezza, fra gli stessi versi della Canzone della Torre più Alta. “Ah, che il tempo arrivi dei cuori invaghiti”, e tu – lo hai detto – lo sei del tennis, innamorato cotto del tuo mestiere. E poi, dai, hai giocato i quarti, e per una semifinale, forse una finale, c’è tempo. Non sei tu lo spirito guida della nidiata rampante dei giovani tennisti italiani?

Eppure, è vero, hai dato come l’impressione di esserti pentito di tanta supremazia, quasi fossi convinto che il norvegese – per quello che poneva in atto – non meritasse un trattamento tanto soverchiante. Gli hai offerto di tirare su la testa per respirare. Lo hai fatto a inizio secondo set. Forse perché ti sentivi comodo, o chissà, non vedevi in che modo lui potesse salire fino al tuo livello. Capita di sbagliare una valutazione, ma forse il primo errore è proprio quello di essere costretto a farle, certe stime. Il tennis è forse diventato democratico? Amichevole? Ti diranno – vedrai – che sei mancato di personalità. Noi, al contrario, pensiamo che tu ne abbia sin troppa. Malgrado ciò, lì c’era solo una cosa da fare, la più semplice: colpire Casper fino a trasformarlo in una illusione.

Il resto è venuto da sé, anche quando hai recuperato il break del terzo e hai condotto le operazioni nel tie break finale. Ti è mancato qualcosa, un dritto l’hai sprecato un filo fuori, sul 5-3 del tie break. Frutto degli sforzi sostenuti per rimettersi in gioco. Ora dici che non puoi essere contento, poi ti correggi… «Dei quarti sì, ma non di questa semifinale mancata. Ruud è un combattente, ha un dritto che fa male, ma nessuno dica che l’ho sottovalutato. Come avrei potuto? Ho avuto un calo, e lui mi ha messo i piedi in testa. Mi sarebbe piaciuto affrontarlo sul Centrale. Nei giorni scorsi ho giocato sempre lì… Il Pietrangeli è un campo meno buono, purtroppo». Si va al Roland Garros. «Ho giocato tre buoni match, sono pronto, non mi sento stanco». Forse, ieri, due set in più sarebbero serviti. Per cambiare da capo la trama.

 

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