Australian Open, quale campionessa sarà la sorpresa?

Il tennis maschile vive di una certezza che tuttora non ne vuole sapere di essere scalfita, ovvero che alla fine gli Slam vengono sempre vinti dalle divinità Nadal, Djokovic e Federer. Quello femminile? Tutt’altro paio di maniche. Dalla sera in cui Roberta Vinci ha distrutto il sogno Grand Slam di Serena Williams, a venire sbriciolati sono stati anche tutti gli appigli possibili di seria previsione della prossima campionessa major. Negli ultimi 17 Slam, ci sono state 10 vincitrici “vergini”, solamente quattro delle quali (Kerber, Muguruza, Halep e Osaka) capaci di confermarsi in almeno un’ulteriore prova.

Questi Australian Open non fanno eccezione, trovando un numero così elevato di possibili protagoniste da rendere azzardato ogni pronostico. Pliskova, Halep, Svitolina, Bencic, Kvitova, Bertens, Keys, Konta. Per restare solo alle prime posizioni del ranking.

Nell’impossibilità di scorgere una figura nitida nella nebbia, proviamo quindi con ua provocazione. La grande sorpresa del primo major 2020 sarà una campionessa Slam.

E se la sorpresa fosse… Serena?

Fa impressione a dirlo, lo abbiamo pensato tutti: ci ha messo più di due anni prima di vincere un torneo (minore) da mamma. E sebbene non potrà mai ammetterlo, la forte impressione è che una netta componente psicologica nelle finali quasi non giocate nel 2018 e nel 2019, aldilà degli indubbi meriti delle avversarie, ci sia eccome. Non certo un “complesso da Slam”, ma quel 24o tassello che la porterebbe a eguagliare Margaret Court nella classifica di vincitrici all-time sembra proprio un tarlo che le è entrato in testa e blocca le gambe. La romanticissima finale di tre anni fa con Venus rimane ad oggi l’ultimo trionfo di una campionessa che, per quanto infinita, quest’anno compirà 39 anni.

Il grado di difficoltà del tabellone per lei non è stato mai un problema e di certo l’ingresso nella seconda settimana sancirebbe un upgrade di forma e convinzione che la renderebbe ulteriormente spaventosa per le avversarie, però i precedenti sono ormai troppi per non poterselo chiedere: che Serena vedremmo di fronte a un nuovo tentativo di alzare quel trofeo che cancellerebbe uno dei pochi primati importanti che ancora le manca?

E se la sorpresa fosse… Naomi?

Naomi Osaka Non ha ancora perso in carriera una finale di livello massimo, tra Slam e Premier Mandatory. A cavallo di fine 2018 e inizio 2019 sembrava una macchina di perfezione agonistica, soprattutto sul cemento. Una perfezione glaciale incoraggiata anche dalla sua personalità molto schiva. Poi qualcosa si è inceppato, soprattutto a causa del discusso divorzio con il coach Sascha Bajin. Separazione che ha portato la giovane giocatrice giapponese a un comprensibile smarrimento dell’orientamento. Jermaine Jenkins non è riuscito a riportarle fiducia, cosa che, almeno in parte, è riuscito al padre: le vittorie di Tokio e, soprattutto, di Pechino (battute Andreescu, Wozniacki e Barty) hanno ricordato a tutti che l’ex numero 1 può essere letale, soprattutto sul cemento.

Il neo sodalizio con Wim Fissette, l’uomo dietro i trionfi Slam di mamma Clijsters e dell’erbivora Kerber, portano ulteriore curiosità sulla difesa del titolo della Osaka. Pochi mesi fa, la prima prova di conferma Slam in carriera non andò granché bene, con un brusco stop agli ottavi contro la Bencic. Qui però potrebbe essere diverso, maledettamente diverso.

E se la sorpresa fosse… Ashley?

Lo Slam di casa è sempre un bruttissimo mostro, soprattutto in Australia. Gli anni di Laver e Court, di Emerson e Goolagong, sono lontanissimi, tanto che tutte le recenti stelle giallo-verdi hanno sofferto la pressione schiacciante di Melbourne. Pat Rafter riuscì a raggiungere la semifinale solo nell’ultimo anno in carriera, nel 2001. Stesso discorso per Lleyton Hewitt, la cui finale 2005 persa con Safin è stata un’oasi nel deserto. Mark Philippoussis non è mai andato oltre i quarti di finale. Sam Stosur non vince un match nel major di casa dal 2015 (sebbene abbia vinto il titolo in doppio nel 2019).

Ashley Barty rappresenta una parziale eccezione a questa avvilente regola. Sia in doppio che in singolare, ha infatti compiuto il salto di qualità Slam proprio in Australia. Nel 2013 raggiunse la finale di doppio a neppure 17 anni, mentre lo scorso anno riuscì a issarsi fino ai quarti di singolare, poi persi con la futura finalista Petra Kvitova.

A complicarle però la questione c’è quel “numero 1” che pesa sia in termini di ranking, che di seeding, che di reputazione. In altre parole, la pressione che l’australiana doveva sopportare dodici mesi fa non è paragonabile a quella che ha ora. I primi turni, sulla carta agevoli, potrebbero aiutarla a sciogliere la tensione e affrontare il torneo con più serenità. Ma i fantasmi di uno Slam casalingo non sono quantificabili nelle effettive difficoltà tecniche di una partita.

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