Australian Open: Kyrgios omaggia Kobe e lotta, ma la vittoria se la prende Nadal

L'australiano non riesce ad arginare lo spagnolo, che vince come a Wimbledon. Dodicesimo quarto di finale per il numero uno del mondo a Melbourne

R.Nadal b. Kyrgios 6-3 3-6 7-6 7-6

Avrebbe avuto un non so che di romantico, l’eventuale vittoria di Nick Kyrgios su Rafael Nadal, al netto del tifo personale o meno. Il riscaldamento e le foto con la maglietta di Kobe Bryant da parte di Nick hanno riempito il cuore della gente, dei tifosi e non solo, in barba alla solita marea di retorica che si è vissuta in queste ultime ore. Ma Rafa, giustamente, non era in vena di celebrazioni (almeno pubbliche), lui ha altre ambizioni, altri progetti. Come lo slam numero 20, l’aggancio a Federer, mantenere il numero 1 del mondo.  Kyrgios torna a casa, Rafa aspetta Thiem.

Mi permetterete una piccola digressione sul tema Bryant, a proposito: perdere uno come il “Black Mamba” è una cosa che non fa male solo al basket, allo sport, alla Nba, ai suoi appassionati. Fa male al mondo. Per la sua mentalità, per il suo modo di essere, per gli aneddoti che si raccontano su di lui, per quello che è stato, per quello che era e soprattutto per quello che sarebbe diventato. Ecco, Kobe era un’ispirazione, e lui stesso era un uomo ispirato. Non era solo un giocatore di basket, per quanto immenso. Era uno degli sportivi che era riuscito ad andare oltre, davvero oltre. E quando viene a mancare un uomo ispirato e ispirante, si deve essere tristi e anche riflettere sulla propria vita. “Se non

Dopo il ritiro, aveva pure vinto un premio Oscar, per un cortometraggio sull’amore ossessionante e ossessivo per il suo sport. La sua vita dopo il basket è durata troppo poco, ed è soprattutto questo che fa male. Era forse dai tempi di Senna che non si viveva, nello sport, un qualcosa di così tragico, drammatico e doloroso. Come Ayrton anche Kobe se n’è andato giovane. E forse questa è una piccola consolazione, che gli eroi se ne vanno quando sono ancora giovani e belli, come diceva Guccini. Personalmente, avrei preferito vedere Kobe invecchiato, magari sulla panchina dei Lakers, a gridare verso qualcuno alla ricerca della perfezione, con qualche bella parolaccia in italiano.

Tornando alla partita, è stata la ripetizione australiana del match di Wimbledon di qualche mese fa. Pure il punteggio, praticamente identico. Lì Nadal era parso ancora più dominante, Kyrgios era andato più a strappi, mentre oggi l’australiano ha tenuto meglio ma alla fine tutto si è risolto con lo stesso risultato. Il problema è che per il gioco di Nick per battere Nadal tre set su cinque devono necessariamente capitare due cose: una giornata in stato di grazia che superi le 3 ore e una giornata molto negativa da parte del maiorchino che superi le 3 ore. Com’è successo a Wimbledon le 2014, insomma.

Altrimenti il margine rimane sempre quello. Ovvero, non poco. Contro Nadal su questa superficie (che ripetiamo, è e rimane rallentata in maniera no sense) non puoi giocare a caso, e Kyrgios questo lo ha fatto in alcuni momenti chiave. A proposito, c’è stato un punto che probabilmente è stato la sliding doors della partita, quello del 6-6 sul tie break nel secondo set. Nadal aveva appena fatto doppio fallo sul set point, era quello il momento per azzannare la preda. Nick non l’ha fatto. Quello con il numero 8, quello che giocava con la maglietta indossata dall’aussie oggi in suo onore, lo avrebbe fatto. Eccome.

 

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