Il Manic Monday che ha spaccato Wimbledon

Da una parte, al maschile, il livello piuttosto basso di emozioni ha fatto da contraltare ai tanti colpi a effetto del tabellone femminile. Il punto, però, ora si sposta sulle fasi finali, dove tra le donne si è creata una grande spaccatura nei livelli.

Il Manic Monday ha avuto la sua giornata di gloria, il problema semmai è che ci sono ancora sei giorni di torneo. Wimbledon ha vissuto il momento in cui può vantarsi, come una medaglietta sul petto, di avere la più spettacolare programmazione a livello Slam (e non) con tutti i 16 ottavi di finale dei tabelloni di singolare da proporre sui vari campi. Eppure gli interrogativi sull’utilità di questa scelta aumentano di anno in anno, cosa però inversamente proporzionale alla volontà dell’All England Club di pensare a una soluzione diversa.

Sono così, legati alle tradizioni. Dalle più classiche e pittoresche a quelle più difficili da proporre col tennis di oggi, le tv e il contorno dell’evento. Perché ancora non è capitato, ma viene illogico pensare che uno sport dove non ci sono limiti di tempo (semmai di punteggio) debba essere fermato alle 23 di sera per un coprifuoco, in un’epoca come questa. E forse, l’idea della pausa nel Middle Sunday non beneficia granché lo sviluppo del torneo. Quantomeno quello femminile.

Le donne, dovendo giocare immediatamente al martedì, vengono praticamente tutte posizionate come primi match sui campi secondari, a partire dalle 11, mentre sui campi principali non possono scendere in campo prima dell’una. Capita poi la battaglia fisica e mentale, il superamento di tre ore, e si crea automaticamente un grande squilibrio nel match del giorno successivo. Se non altro, è una condizione che bisognerebbe salvaguardare il più possibile.

Così, al di là di tutto, ieri le uniche partite con un alto livello di emozioni ed equilibrio sono state nel tabellone delle donne. Volendo elogiare comunque Guido Pella per aver inflitto a Milos Raonic la prima sconfitta in carriera da 2 set sopra, o Sam Querrey per la lotta serrata con Tennys Sandgren, non si arriva ai picchi che già soltanto l’incontro tra le “Karoline” ha riservato. Un 13-11 conclusivo che ha prodotto spettacolo dal primo all’ultimo punto, con la beffa enorme per Pliskova di aver perso per un nastro dannatamente favorevole a Muchova e il grande rimpianto per i due tentativi falliti di servire per il match.

Muchova è tutto fuorché sorpresa, perché è dallo scorso US Open che ha cominciato a mostrarsi al grande pubblico e da allora pur giocando appena 11 tornei, è salita dal 202 al 43 del mondo. Giocatrice dallo straordinario talento, sensibilità di palla, spettacolare nell’approccio ai colpi, che si butta avanti con coraggio e follia, che ha travolto nel gioco e nel servizio la sua connazionale, ben più quotata. I quarti di finale, i primi in carriera a livello Slam e i primi per una debuttante a Wimbledon da Na Li nel 2006, sono il giusto riconoscimento per chi si è guadagnata tantissime simpatie da parte di fan che non guardano solo ai grandi nomi e di quella parte della stampa che riesce ad avere il giusto occhio. Ben Rothenberg, del New York Times, in una chiacchierata fatta durante l’off season nominava proprio lei alla domanda su chi potesse essere la nuova “shot maker” della WTA. Il punto, però, è un altro: fisicamente paga ancora dazio rispetto alle migliori, anche a causa di preparazioni mai veramente adeguate e la scarsa disponibilità anche solo a livello economico di coprirsi di un team che potesse seguirla e farla crescere. Adesso che ha cominciato a crescere, questo è forse il vero intoppo nella sua corsa: una gamba è fasciata da tempo, nel match contro Anett Kontaveit al terzo turno ha avuto bisogno di un check in della fisioterapista.

Pensarla a oggi, in campo contro Elina Svitolina che fa della prestanza fisica la forza maggiore, a forzare ancor di più chiedendo tanto sotto quell’aspetto, le sue possibilità di continuare un’avventura che le segnerà la carriera crollano drasticamente. Si sono affrontate a Doha a febbraio, Svitolina si impose 6-4 6-2. Muchova, per chi non l’avesse mai vista giocare (male) fece numeri nei pressi della rete e un colpo “a banana” col dritto, alla Nadal, ma dal lato destro. Sul 3-4 30-40 decise di fronteggiare una palla break servendo a metà potenza però piazzandola proprio all’incrocio delle righe, zona centrale, per buttarsi a rete in un serve&volley studiato molto bene, ma di poca gloria perché Svitolina ci arrivò in allungo e creò un lob che la superò, impedendole di portare a termine lo schema. Nessuna delle due ha mai raggiunto una semifinale Slam, e se per la ceca comunque rivelatasi da poco non è una grande novità, per l’ucraina sarebbe la prima volta dopo 4 tentativi.

Muchova ha preso le prime pagine, ieri, ma oggi rischia di pagare caro quello sforzo importante (54 vincenti, 43 gratuiti contro i 54 vincenti e 39 gratuiti dell’avversaria). Nelle sue parole c’era tanto orgoglio, ma anche la consapevolezza che il suo Everest non è che all’inizio: “Avrò bisogno di un miracolo per recuperare. Farò il possibile, spero domani di poter ancora camminare, ed eventualmente di correre”. Tra il serio e il faceto. L’eliminazione di Pliskova, unita a quella di Cori Gauff e Dayana Yastremska, ha però tolto quasi gran parte dell’interesse vero la parte bassa. Prima c’era la corsa al numero 1 (con la ceca che doveva arrivare in finale), c’erano due ragazzine del 2000 che si stavano facendo avanti, c’era un clima attorno alla giocatrice del 2004 che era alla fine forse un po’ eccessivo, ma che aveva preso chiunque. Sul serio, chiunque:

E proprio perché americana, figlia di una nuova generazione che parla di meme e di test scolastici, era finita sotto l’occhio di tutti, persino di celebrità importanti. Il torneo forse sperava di vederla continuare la scalata, anche per vivere una storia che sarebbe stata ricordata per sempre, ma Simona Halep si è rivelata troppo più forte. Anche qui, però, nei quarti di finale la sfida contro Shuai Zhang è di scarso appeal perché la cinese è la vera sorpresa del torneo ma non è neanche una ragazzina da pensare stia nascendo qualcosa di importante. È stata bravissima ad arrivare fin qui battendo ottime giocatrici (Caroline Garcia e Wozniacki, prima di Yastremska) e ha pure superato Halep in uno Slam, tre anni fa. La parte bassa, però, dopo ieri è stata fortemente segnata verso una semifinale che molto difficilmente uscirà da Svitolina contro Halep.

E se la parte bassa sembra abbastanza segnata, quella alta non pare godere di grandissima incertezza perché le uscite di Ashleigh Barty e Petra Kvitova hanno inevitabilmente segnato la scena. Grande delusione per l’australiana, finita anche lei per pagare dazio di fronte ad Alison Riske, la quale meritava un approdo ai quarti di finale a Wimbledon fin da inizio carriera per come riesce a rendere tutto così semplice ed efficace sui prati, malgrado un tennis forse un po’ spigoloso sul dritto. Il problema, per lei, è che ora ha una delle atlete (non solo tenniste) più forte di sempre. Serena Williams, a 38 anni, non è imbattibile nello scambio. Chiariamo il concetto: è straordinaria, ha la possibilità di tirar fuori 30 conigli dal cilindro nel momento giusto, ma molta della sua sicurezza (e questo sembra un fattore sempre più evidente ora) deriva anche dalla continuità alla battuta. Una Williams che gioca al 60-70% di prime palle in campo è pressoché ingiolabile, a meno che quelle prime non siano importanti e/o l’avversaria di fronte non sia una così forte da non subire la pressione del momento. Per questo lei è campionessa e molte di quelle rimaste sono brave, bravissime, ottime giocatrici, ma almeno uno step più in basso. A cominciare da Riske, che ha tolto di mezzo la nuova numero 1 come ha fatto con Kiki Bertens a s’Hertogenbosch, Donna Vekic e Belinda Bencic qui a Londra. Il servizio, colpo straordinario non solo per efficacia, sarà sempre più determinante e per una che ha vinto 7 titoli su questi campi è impossibile non darla grande favorita non solo oggi, ma anche in una eventuale semifinale contro Johanna Konta o Barbora Strycova.

Lo scorso anno c’era una situazione abbastanza simile, con un tabellone però che già agli ottavi subiva le conseguenze di una pioggia di eliminazioni eccellenti nei primi round ma che comunque riuscì a finire con 4 semifinaliste di altissimo profilo: 3 campionesse Slam (Serena, Angelique Kerber, Alona Ostapenko) e una delle più in forma del momento (Julia Goerges). Quest anno molto probabilmente andremo incontro a una situazione in tono probabilmente minore, nella previsione di qualche bella avventura da raccontare, o di uno storico traguardo sullo sfondo: lo Slam numero 24.

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