Potapova: “Oggi giornata speciale per me. Nel 2016 lasciai gli junior perché troppo impaziente”

Intervista esclusiva ad Anastasia Potapova, una delle ragazzine classe 2001 approdata al secondo turno dell'Australian Open: "Cosa ricordo della mia off season? Le due ore al giorno di corsa in mezzo alla neve sulle montagne in Slovacchia".

Anastasia Potapova, classe 2001, una delle ragazzine terribili che stanno emergendo con grande forza da almeno un anno. La russa è già in top-100 con davanti a se una stagione ricca di situazioni nuove da sperimentare e oggi ha vinto la sua prima partita in un torneo Slam, superando 6-4 7-6(5) Pauline Parmentier.

Personaggio di grande simpatia, appena entrata nella sala interviste è stata salutata dal giornalista di SBS Radio, slovacco ma grande esperto in materia russa che le ha comunicato  che io le avrei parlato in inglese. Lei, scherzando: “Davvero, non in russo?”. “No, ecco, ancora non è fluidissimo. Giusto “spasiba” e poco altro”. Lei: “oh, peccato. Prossima volta però voglio sentire un paio di frasi, ok?”. Aggiudicato.

Dopo una bella intervista in cui si è svariato tra vari dettagli, dai suoi inizi alle fasi recenti, il suo manager Alexander Ostrovsky ci ha salutato con una stretta di mano e chiamandomi per nome: da un anno circa mi segue su Twitter, ma da qui a nominarmi ce ne passa. Lei invece, mentre stavo uscendo, mi ha ringraziato, cosa che non capita molto di frequente. Molto sorridente, forse vista anche la giornata, e un “good luck for the next round” non poteva non starci.

Anastasia, prima volta in carriera in un secondo turno Slam. Ti ho vista esausta alla fine. Mi racconti dal tuo punto di vista?
Come è andata? Molto bene, è stato quasi tutto perfetto. Volevo veramente vincere e tutto quello che ho fatto fin dalla off season ma anche negli ultimi giorni era per provare a vincere oggi, ci tenevo troppo, non partivo dalle qualificazioni e volevo dimostrare che valevo il posto nel tabellone principale. È una bellissima sensazione.

C’è una cosa di te che salta subito all’occhio, e anche oggi sei riuscita a metterla in atto: indietro 2-5 nel secondo set hai tirato fuori un grandissimo spirito di chi non molla mai. Da dove nasce questa caratteristica?
Credo sia qualcosa che proviene dalla mia famiglia. Sono tutti sportivi. Forse quella che mi ha veramente insegnato tutto ciò è stata mia nonna. Lei è la mia preferita in famiglia: è una che non molla mai, e ha sempre cercato di insegnarmi fin da quando ho cominciato a giocare che qualsiasi cosa io decidessi di fare dovevo farla fino alla fine e farla bene. Lei giocava a pallacanestro e ha insegnato per un po’ di tempo, mia mamma invece era una pallavolista mentre mio papà giocava a hockey.

Hai provato qualche altro sport quando eri piccola?
No ho giocato a tennis fin dall’inizio. È stata un po’ di fortuna perché mia nonna aveva visto delle ragazzine che giocavano a tennis durante una nostra passeggiata nel parco quando avevo 5 anni, mi chiese se avessi voluto provarci e ho detto di “sì”. Non ricordo neppure se sia stato amore a prima vista, ma ricordo che quando vinsi il primo titolo della mia vita, e da lì ho detto: “Ragazzi, sapete cosa? Io diventerò una tennista”.

Fai parte di una generazione di ragazze giovanissime ma molto talentuose, coraggiose e in crescita. 
Sì nel tabellone principale siamo in 2 del 2001… ah no, aspetta, 3 perché Iga Swiatek è passata dalle qualificazioni. E 4, giusto, perché c’è anche Clara Burel.
L’altro giorno parlavo proprio con Iga e mi diceva che una delle ragioni per cui siete qui ora è che avendo la stessa età giocate assieme da quando avevate 12 anni, e alla fine vi siete spinte a vicenda. Che ne pensi?
Sì, assolutamente. Questa è stata da subito una grande motivazione per me. Quando vedo altre giocatrici della mia età che vanno in fondo nei tornei, che fanno finali, che vincono, mi dico che non posso non riuscirei che non posso sentirmi inferiore a qualcuna, e comincio a prenderle tutte come punto di riferimento. Lei, Olga, tutte.

La off season come è andata? Immagino sia stata molto diversa dalle precedenti.
Ho fatto due settimane di grande lavoro in Bratislava. Ero in un gruppo con 5 ragazze circa, tra cui anche Daria Kasatkina, e abbiamo lavorato molto duramente, siamo andati in montagna a lavorare per 8 giorni. Ogni giorno nevicava e noi a correre all’aperto per 2 ore ogni giorno e credo che mi abbia aiutato tanto e sono andata a Miami. Non una vera accademia, ma mi allenavo in un circolo dove sono membra. Avevo 13 anni ed ero da quelle parti, loro mi videro giocare e mi dissero che dovevo far parte del loro circolo. Mi hanno detto: “Vieni qui, siamo disposti a darti la nostra struttura a completa disposizione. Palestra, piscina, campi, attrezzature, tutto per allenarmi”. Poi sono andata a Miami città, mi sono allenata per 3 settimane, è stata durissima e arrivavo a fine giornata che ero morta fisicamente, ma sapevo che questo mi avrebbe veramente aiutato poi nei tornei come quelli dello Slam, o in tutto il resto della stagione.

A fine 2016 hai lasciato l’attività junior senza avere classifica WTA e senza aver ancora compiuto 16 anni. Fu una scommessa?
Se mi avessi chiesto questa domanda 2 anni fa avrei detto “sono pronta a giocare, a vincere, a battere chiunque, super motivata…”. Ma ora se posso comparare le sensazioni forse ero pronta ma dall’altra parte ero troppo impaziente di arrivare alle mie prime vittorie da professionista. Venendo dal circuito junior non mi ero resa conto quanta differenza ci fosse. Tra le professioniste tu puoi giocare contro quella che è fuori dalle prime 300 e non ti lascia un punto gratis, oppure mostrarti del tennis perfetto. Non ero pronta per questo, dovevo lottare per ogni match, per ogni singolo, dannato punto mentre quando giocavo negli junior per esempio i primi turni per me erano più adatti a scoprire come fossero le condizioni, scoprire il livello del mio gioco. Qui non c’è nulla di facile, nulla.

Dalla stessa categoria