Ace Cream. Nadal, Djokovic, Tsitsipas e gli spuntini collaterali australiani

Due semifinali da buttare e una finale con il numero uno contro il numero due, che dovrebbe essere quanto di meglio ci possa regalare il tennis. Kvitova e Osaka? Tanto diverse da...

Che le divinità tennistiche ci scampino dalla noia. Proprio loro, quelle che hanno girato le spalle a Tsitsi, che è un po’ Efesto – dio del fuoco, uomo con barba e martello, che usava le fiamme come forza creativa – e un po’ Dioniso – dio del vino e delle feste, delle orge e dell’estasi, lui sì biondo e boccoluto, con satiri e menadi come assistenti – seppure ai greci di Melbourne, che sono tanti e caciaroni, Stefanos piaceva di più nella versione Ares, dio della guerra, vestito solo di un elmo, tutt’al più di un perizoma, ma solo nelle serate di gala.

Due semifinali da buttare, come si è visto, e una finale con il numero uno contro il numero due, che dovrebbe essere quanto di meglio ci possa regalare il tennis, frase che potrebbe costarmi una querela da parte di Federer. In ogni caso, si vedrà… Seppure alla 53ma replica del match pare di scorgere in un certo atteggiamento di Rafa (più carico in avanti sul servizio, e più determinato a chiudere rapidamente lo scambio) qualche spunto di curiosità in più del solito palinsesto dei loro confronti. Li ricordate? Quelli che finivano sempre a sportellate…

Djokovic, mi sembra, non abbia voluto mancare nel mostrarsi a Rafa più bravo anche nel fare sfoggio di muscoli, e infatti ha tarpato le ali al povero Pouille, che è un ragazzo di talento ma con il carattere di plastilina, da vera educanda. Fino alla semifinale è stata la Mauresmo a servirgli un po’ di garra, al francese di Dubai (gente ricca, i familiari), ma contro Djokovic non sarebbe comunque bastata. Così, quattro game in tutto. E tutti a dire, ma com’è forte il Djokovic. Il che è vero, verissimo, lo dico in piena coscienza… Ma i soldi per il biglietto, la prossima volta, chissà se li spendo.

Mi è piaciuto pochino del torneo maschile… Cose collaterali, soprattutto. La versione YouTuber di Tsitsipas, è una di queste. Offre ai fans la parte più strampalata di sé, rivestita di sguardi e sorrisetti ironici, tipo “ma davvero sono io quello che inventa queste fesserie?”. È proprio lui, nessun dubbio, e si diverte pure. Fa tutto da solo, regista e attore protagonista, anche autore e sceneggiatore. In uno di questi filmati è alle prese con un pacco di spuntini e caramelle provenienti da tutti i continenti. MunchPak Random è scritto sulla confezione. Stefanos per prima cosa mostra un messaggio che gli ha inviato John Cena, il wrestler diventato attore. “Mi diverto a vedere le tue stupidaggini”. Poi, inorgoglito, passa all’esame del contenuto, mangia e dà i voti, sputazza disgustato quando lo snack non gli piace, finge di soffocare quando è troppo piccante, assume un’espressione devastata a tu per tu con una caramella che sembra una polpetta, il tutto accompagnato da flash tratti dai film che più gli piacciono. E il tennis? Non c’è. Tsitsipas nelle sue ore di riposo si occupa d’altro, Ma la vittoria su Federer è servita, negli ultimi due giorni gli iscritti al suo Tsitsipas Channel sono raddoppiati, da 16 mila a 35 mila. Un consiglio agli amici del nostro sito… Proviamo anche noi a battere Federer, ormai è un modo sicuro per fare soldi.

Altro spuntino collaterale. Il linguaggio del corpo, che dice cose che nessuno si permetterebbe di esprimere a parole. Concetti che non fanno parte del politically correct. E te li sbatte in faccia. Rafa Nadal ha accolto in campo il giovane Tsitsi con un sorriso, ha giocato d’anticipo nei giorni scorsi enumerando tutte le qualità del greco che presto – dicono, ma lo diciamo anche noi, perché no – prenderà il suo posto sulla cima del tennis, ma già nel corso del primo game della semifinale, grazie al suo “body language” che non ha bisogno di traduzioni o sottotitoli, ha recapitato il seguente messaggio: “O ninni, te tu provaci, ma io un ti faccio vince nemmeno se mi canti in cinese o mi parli in aramaico”. Così, dritto per dritto. Con tanto di cadenza e intonazione toscana, da autentico calciante, quelli del calcio fiorentino, che inseguono la palla tra sberle e nocchini. Ora, direte voi, perché mai il corpo di Nadal parla in toscano? Ma cari, non è il “body language” l’unico idioma che riunisca tutte le lingue del mondo? Ma certo che lo è. E allora io lo faccio parlare torcano. In ogni caso, Stefanos Tsitsipas, che non sa cantare in cinese e nemmeno parla l’aramaico, ha subito capito perfettamente il senso del messaggio recapitatogli dall’aitante Rafa.

L’arte di un corpo che parla la conosce anche Naomi Osaka, ed è fra le poche nel tennis al femminile. Chissà, forse c’entrano a buon diritto gli avi giapponesi, per parte della signora Tamaki, sua madre. Fu proprio nelle città di Edo e di Osaka che si sviluppò la forma teatrale kabuki, dove le parole erano sostituite dai gesti della danza, la più erotica possibile. Naomi non arriva a tanto, ma affronta il campo non solo con i colpi, anche con gli sguardi, con movenze sorprendenti che ne fanno una in grado di colpire in qualsiasi modo, qualunque sia la posizione del suo corpo in quel momento.

Non solo… Sa usare il bastone, la ragazza mora con gli occhi a mandorla, e le servirà anche contro Petra Kvitova, che sa bene come si vince uno Slam, avendo nel curriculum due Championships sull’erba, vinti nel 2011 e nel 2014. Due che più diverse non è possibile trovarle, Naomi e Petra, lontane per caratteristiche tecniche e per le carriere fin qui percorse. Tutta alti e bassi quella della ceca, tre anni fa vittima di un attentato subito nella casa di Prostejov da parte di un ladro che a coltellate le devastò la mano con cui gioca, poi ricostruita chirurgicamente. Fondata sulla solidità e sul comando, quella di Naomi, cui coach Bajin concede massima libertà di interpretare i match, «perché sono convinto sia una ragazza speciale», ha spiegato, «e conosco che cosa voglia dal tennis». Non si sono mai incontrate, ma Petra (28 anni) ha 25 tornei vinti alle spalle, Naomi appena due anche se si chiamano Indian Wells e Us Open. Giocheranno anche per il numero uno. Chi vince prenderà tutto. All in, come nel poker.

 

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