Esclusiva: Kasatkina tra 2018, il coach Dehaes, e il tweener a Roberta Vinci

Intervista esclusiva a Daria Kasatkina, neo top-10. Spazio a tanti argomenti: come nasce il suo tennis intelligente e costruito, il rapporto di amore-odio per l'erba di Wimbledon ("ora la adoro"), i coaching in campo di Dehaes ("Sono da pazzi") e un pensiero a Roberta Vinci ("adoravo il suo gioco").

Durante le WTA Finals di Singapore abbiamo avuto l’occasione di sederci e fare due chiacchiere con Daria Kasatkina. La neo top-10 russa, che ha compiuto 21 anni il 6 maggio, era di ottimo umore.

Aveva artigliato il numero 10 del mondo dopo il successo a Mosca nell’ultima settimana dell’anno ed essere a Singapore era un vero premio anche considerato il fatto che era lì come alternate e doveva sì allenarsi ma il più delle giornate erano vissute in totale relax.

Dunque, Dasha, hai concluso il 2018 in top-10. A livello personale qual è stato il momento più bello di questa corsa, quello di cui ti senti più orgogliosa?
Il titolo a Mosca nell’ultima settimana, senza dubbio. Era quello che sognavo fin da quando ero bambina. È stata una stagione dura, ho dovuto affrontare diversi ostacoli e sono molto felice di come sono venuta fuori da alcune situazioni piuttosto dure. In generale mi sento una persona più matura adesso, spero sia così anche tra qualche mese (sorride, nda). Devo un grazie particolare al mio team, che mi è stato sempre dietro. Sono stati forse duri alle volte con me (scherza, nda)… ma no, sono molto di supporto.

Prima di Mosca hai avuto una stagione comunque di una certa costanza, con picchi di alto rendimento tra Dubai, Indian Wells e i due quarti di finale Slam. C’è stato un collegamento tra tutti questi momenti e la ripresa nella fase finale della stagione?
La cosa più importante qui è stata l’esperienza. Ogni finale che ho perso mi ha dato più esperienza (ride, nda). No, scherzi a parte, è tutto parte di un percorso di crescita, per alcune può essere veloce, per altre meno. Non è stato facile digerire le sconfitte in quelle finali, ma forse anche da quello ho trovato un po’ di spinta in più per darmi un ultimo tentativo a Mosca. Per cui sì, penso che tutto abbia un collegamento.

Quale è stato il momento più duro del 2018?
Dopo Wimbledon. Ho avuto un po’ di pausa per riposare dopo la prima parte dell’anno. Ho giocato tante partite, ho avuto molte più aspettative su di me e sono andata in America, negli Stati Uniti, e poi in Cina, pensando di continuare su quel livello ma non ce l’ho fatta. Ero stanca mentalmente, e dopo qualche risultato negativo non volevo più giocare. Ho preso un po’ di pausa dopo Pechino, prima di Mosca dove poi ho vinto. Però sì, è stata abbastanza dura venir fuori da questa crisi. Forse non si vedeva più di tanto, ma sono situazioni mai facili dove mentalmente sei scarica e non ci sono risultati.

Roberta Vinci 2 anni fa, eravamo a Indian Wells, di quanto adorasse il tuo gioco
E io adoro il suo.
Da dove nasce questa tua capacità, o forse è meglio dire volontà, di sfruttare un gioco più vario e costruito piuttosto che essere aggressiva nella maggior parte delle situazioni?
Fin da piccola ho seguito molto il tennis maschile, ma anche il calcio, il basket. Forse da questo mi è rimasto in mente l’idea di dover pensare ogni situazione e giocare qualcosa di diverso tutte le volte. E poi c’è mio fratello.
Cioè?
Lui ama tutti gli sport e fin da piccola mi ha sempre portato a giocare a calcio, per esempio, o mi faceva guardare vari sport interessanti, dove il gioco veniva costruito con dei ragionamenti dietro. E da lì probabilmente ho avuto in testa l’idea di mettere in campo un gioco più ragionato.

È vero che fino al 2016 non avevi mai giocato sull’erba?
Avevo giocato solo una partita, però a livello junior. Ero a Wimbledon, ho perso in un’ora.
Da come lo dici sembra non ti fosse neppure piaciuta, come esperienza.
Zero, l’erba non mi piaceva proprio. Ma questo perché non avevo neppure avuto l’occasione di sentire l’erba e di capire come giocare, muovermi. Non c’era neppure un coach con me che poteva spiegarmi certe cose. Sono andata in campo e ho odiato tutto: “il rimbalzo è orribile”, “non posso muovermi”, “non posso servire”. Non potevo fare nulla. Poi per fortuna il mio coach nel 2016 (Platenik, nda) mi ha subito saputo dare i giusti consigli e il cambiamento è stato abbastanza immediato.
Fu in quell’anno che a Wimbledon ha portato Venus Williams fino al 10-8 al terzo set.
Sì infatti, non andò male (sorride, nda). E ancora in quell’anno non è che fossi tanto contenta di come stessi giocando su erba. Solo quest anno ho capito che giocare su questa superficie è veramente bello.

Quale è il match up che pensi ti possa piacere maggiormente? Ti piace più affrontare una giocatrice maggiormente difensiva, una contrattaccante o una che invece aggredisce per gran parte del tempo?
Uhm, dipende. Con alcune potrei forse dire che mi trovo bene anche se fanno un gioco molto aggressivo, ma con quelle più difensive ho molto più tempo. In generale per me è comunque difficile giocare contro chi colpisce molto forte, soprattutto se queste sono in una grande giornata dove diventa molto complicato affrontarle, hai palle che arrivano molto veloci in ogni angolo e non sai bene come fare per ribatterle. Per cui sì, direi che in generale è più facile con le giocatrici difensive, forse sono tante a pensarla come me.

Quanto è importante, nel tuo gioco, l’aspetto mentale? Alle volte per portare qualcuna fuori dalla propria area di comfort devi impegnarti a giocare scambi da 20 colpi in ogni punto.
No, nessun problema per quello, più colpi ci sono in uno scambio e meglio è per me. Per l’aspetto mentale invece direi che sia una parte ormai fondamentale nel nostro gioco. Ormai le nostre sono sfide che vanno avanti per due ore, e in quel tempo può accadere di tutto, dunque devi essere preparato mentalmente a dover affrontare ogni situazione.

Parlando di colpi, sei una di quelle che adora la smorzata. Che cosa provi quando magari ne giochi una perfetta e senti il pubblico attorno che rimane colpito?
Rido tra me e me e penso: “Ok, l’ho fatto di nuovo”. Poi se il colpo è veramente bello magari finisco nel video della WTA sull’hot shot del giorno. Ogni tanto magari faccio finta di nulla ma dentro di me mi capita di esultare. Mi piace, mi piace tanto provare colpi come una palla corta nello scambio, magari alle volte prendo anche dei rischi, per questo poi se riesce sono particolarmente sollevata (ride, nda).
Hai mai riguardato qualcuno dei tuoi colpi più belli su internet?
Certo! (ride, nda) Penso che chiunque lo faccia, tra l’altro.

Qual è il colpo più bello che hai giocato finora in carriera?
Il mio tweener vincente, a Toronto nel 2017.
Contro Roberta, tra l’altro…
Esatto, è stata anche molto carina ad applaudire e sorridere mentre si girava.
E se dovessi fare una top-3 dei colpi che più ti piace eseguire in campo?
Il tweener, la smorzata di rovescio in salto e il rovescio in salto.

Philippe Dehaes, il tuo coach. Quanto pensi sia stato importante nel tuo percorso quest anno?
Molto importante. Fin da quando ci siamo uniti io mi sono sentita molto più libera, e ho sentito che lui era sempre dalla mia parte, che credeva sempre in me. Non solo lui, anche mio fratello, lui è intoccabile in questo aspetto. Ma avere qualcuno non della tua famiglia che ti sostiene così tanto è molto importante. Poi i suoi on court coaching sono pazzi, interessanti e mi danno sempre qualcosa in più.
A proposito, quando ce l’hai di fronte negli on court coaching: è il vero Philippe, cioè sta esprimendo il suo carattere, oppure sta esagerando perché ha capito che per spronarti serve un determinato atteggiamento?
No, lui è Philippe anche per quello. È completamente se stesso in quel momento. È il suo carattere, e spesso usa modi di fare molto diversi per farmi entrare in testa diversi concetti. Quando va in campo lui sa cosa dirmi, ma per far sì che io capisca certe cose utilizza modi di fare abbastanza particolari: l’80% di quello che dice è improvvisazione, gli viene sul momento. Lui arriva, si siede davanti a me, mi fa domande e poi parte coi suoi discorsi. È Philippe, è così.
Se guardiamo alle tre giovani che più sono migliorate quest anno, dunque anche nel tuo caso, vediamo che l’aspetto del coach è un punto forse molto più rilevante di quello che può sembrare. Naomi Osaka ha trovato in Sascha Bajin una persona fondamentale, Aryna Sabalenka ha speso grandi parole per Dmitry Tursunov, e poi tu e Philippe. Pensi sia davvero un valore aggiunto tutto ciò? Ogni tanto più che dire che strategia usare sono più riflessivi, quasi degli psicologi.
Sì, è qualcosa di molto importante. Siamo ragazze, non giriamoci attorno: può essere difficile con noi, alle volte. Siamo piuttosto emotive, per cui serve una figura che sappia come comportarsi in più situazioni altrimenti potrebbe forse sentirsi offeso da alcuni nostri atteggiamenti, eppure noi non lo vogliamo, è solo perché magari in quel momento siamo così.
Prima del tuo attuale coach hai avuto un rapporto importante anche con Vladimir Platenik, durato circa 3 anni. È facile, per te, entrare così in connessione con i vari coach?
Lui è stato il mio primo coach nel tour, ed è stato molto importante. Lo ringrazio ancora per il cammino che abbiamo avuto, 3 anni assieme, oltre 300 giorni assieme ogni anno. È anche ovvio pensare che avessimo un bel rapporto. Non ho neanche idea a dir la verità di come tu possa non avere un buon rapporto con una persona dovendo passare così tanto tempo assieme.

Naomi ti ha più chiesto di allenare i tweener?
No, direi che sta andando più che bene anche senza giocarli (ride, nda). Però se vuole basta che mi cerchi e io sono pronta.

Sei cresciuta in una fase in cui il tennis femminile russo era al top come successi, c’è qualche giocatrice che hai apprezzato maggiormente come personalità?
Seguivo più il tennis maschile, però mi è sempre piaciuta Svetlana Kuznetsova, come gioco e personalità.

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