Serena Williams, e ora?

A Wimbledon tanti si erano illusi, la finale ha riportato tutti sulla terra. Serena Williams ha davanti una strada con difficoltà nuove rispetto al passato, non ideali per chi è vicina ai 37 anni. Potrà farcela, ma forse dovremo considerare variabili che prima appena la sfioravano.

Mettersi a fare proclami su quella che è a tutti gli effetti una dei migliori atleti di tutti i tempi, maschi e femmina, non è qualcosa di semplice. Quanto abbiamo visto a Wimbledon è stata una Serena Williams capace di raggiungere l’ultimo atto ma non è mai stata vicina allo Slam numero 24 e la partita contro Angelique Kerber ha mostrato quanto quella bistratta top-10 attuale, criticata troppo velocemente, sia ancora un buon indicatore per valutare la vera condizione della ex numero 1 del mondo, impegnata in un difficile rientro dopo la gravidanza e tutte le vicende di salute delicate che ne sono susseguite.

Vista da un lato umano, la finale a Wimbledon al quarto torneo dal rientro, al secondo “vero” appuntamento dopo il Roland Garros, ha rappresentato qualcosa che per tutte sarebbe straordinario. Per tutte, ma non per lei che ha spesso dato vita a recuperi così. Nel 2006, dopo l’Australian Open, sparì dai campi per infortunio e rientrò solo a metà luglio, per un mese appena di tornei prima di chiudere la stagione. Morale della favola? Si presentò all’Australian Open 2007 con appena un torneo di preparazione dopo un’annata infernale e nonostante una condizione fisica non ancora perfetta (chiedete a Svetlana Kuznetsova, che a Stoccarda nel 2017 disse come in quello Slam Serena avesse circa 10 chili di troppo). Nel 2007 la statunitense aveva, però, 26 anni e pur non immaginando una carriera molto longeva era facile pensare che tornando a pieno ritmo competitivo potesse ritornare anche con il ruolo di favorita numero 1 in ogni torneo.

Adesso gli scenari appaiono diversi. O almeno, hanno sfumature che sembrano indicare nuove prospettive. Facendo un salto indietro nel tempo, forse l’ultimo vero momento in cui Serena è stata al 100% della propria condizione psico-fisica per un lungo periodo è nel biennio 2012/2013, quando vinse 18 delle 20 finali disputate e soltanto Victoria Azarenka “sporcò” questo numero impressionante battendola a Doha e Cincinnati. In due stagioni perse 8 partite, vincendone addirittura 136. Il 2014 fu altrettanto straordinario, ma forse appena sotto con “solo” uno Slam. Insomma, sottigliezze. Una fame di vittorie enorme abbinata a una strepitosa condizione atletica hanno mostrato il reale valore di una giocatrice che, assieme alla sorella Venus, ha scritto la storia del tennis moderno e che ha avuto il momento di massimo splendore, probabilmente, tra i 30 e i 33 anni.

Nel 2015 arrivò a due partite dal completare il Grande Slam in stagione, però lì si nascondeva qualcosa di diverso, coperto al meglio dalla tenacia e dalla capacità di trovare quel qualcosa in più ogni volta che ne aveva bisogno. Mancava la perfezione, ma questo veniva compensato da tanti aspetti, definiamoli, collaterali. Ripercorrendo i primi 3 Slam vinti in quella stagione, andò in difficoltà nei primi turni dell’Australian Open, vinse il Roland Garros con 5 partite al terzo set e trovandosi un break indietro sia in semifinale che in finale, in un momento in cui fu anche debilitata da un virus (e soffrì tantissimo contro Victoria Azarenka al terzo turno). Poi a Wimbledon, quando ancora dovette tirar fuori qualcosa di molto importante per battere sempre Azarenka e, soprattutto, Heather Watson. Anche nel 2016 si scoprì meno travolgente fermandosi per due volte consecutive in finale e dovendo chiedere un aiuto enorme al proprio servizio per battere Angelique Kerber in finale a Wimbledon.

Il titolo Slam numero 23, arrivato con una finale un po’ “così” contro la sorella Venus (una sfida che in quanto a valori è seconda a poche, ma per le emozioni e lo spettacolo in campo forse è meglio cercare altrove), e poi la gravidanza. La giocatrice che ora abbiamo di fronte è la stessa del passato per la voglia di vincere, di competere, di essere superiore a tutti, ma pur dopo 4 mesi e più di allenamenti intensi non è ancora riuscita a essere fisicamente impeccabile. Pur per una grandissima come lei, la situazione ora comincia a farsi un po’ più complessa.

Fino a qualche anno fa eravamo abituati a darla come grande favorita su ogni superficie, “status” che ha ottenuto con una carriera fatta di risultati straordinari, di vittorie, di titoli, di fama, di sensazione di superiorità come e quando voleva. Adesso appare giocatrice che può mettersi nella condizione di vincere i titoli più importanti ma è subentrato qualcosa, alcune variabili che prima non la infastidivano. Analizziamo il suo percorso a Wimbledon: poco impegnata prima dei quarti di finale, al di là di un buon match contro Mladenovic, dal secondo set contro Camila Giorgi fino a quasi tutta la semifinale contro Julia Goerges ha inciso soprattutto col servizio, uno dei colpi più efficaci di tutto il tennis femminile. Questa soluzione però in finale è sparita contro una Kerber che l’ha dominata con un netto 6-3 6-3. Guardando e riguardando la partita, ci sono alcune situazioni che una Williams di qualche tempo fa non avrebbe forse mai vissuto: nei primi game era ferma sulle gambe, segnale o di nervosismo o di difficoltà a entrare nel ritmo partita, forse anche distratta dalle 2 ore di ritardo per la prosecuzione della semifinale maschile tra Rafael Nadal e Novak Djokovic; il suo servizio è stato da subito neutralizzato, al di là di un colpo a 201 chilometri orari a chiudere il quarto game, dalla grande risposta della tedesca; i suoi colpi da fondo campo non sfondavano a causa della migliore reattività dell’avversaria e, per la prima volta in tutto il torneo, era lei a doversi muovere. La palla di Kerber è particolare, perché soprattutto di dritto ha spesso un taglio a uscire che porta l’avversaria a fare sempre più strada per arrivarci e in più, prendeva sempre il tempo a Serena nello spostamento laterale; quando poi veniva chiamata a rete quasi sempre perdeva il punto per la difficoltà nello scatto in avanti.

Avendola vista da vicino, abbiamo apprezzato a Indian Wells la dedizione che la statunitense mostrava. Molto lontana dalla propria miglior condizione, tutti i giorni alle 8 del mattino andava in campo per allenarsi e non usciva prima delle 10, con un supplemento di un’altra ora al pomeriggio. In quel caso, gli spostamenti erano ridotti al minimo perché ancora non avrebbe resistito, ma vedere una campionessa di questa grandezza ancora lì a lavorare duramente per tornare in alto era un segnale molto forte. Dopo Miami si è assentata per un breve periodo prima di andare ad allenarsi per il Roland Garros all’accademia del suo coach, Patrick Mouratoglou. Due settimane intense, e a Parigi c’erano miglioramenti ma al primo affanno fisico ha alzato bandiera bianca. Adesso Wimbledon, dove quando ha affrontato grandi colpitici come Giorgi e Goerges ha avuto un buon riscontro finale, ma nel momento in cui il copione è totalmente cambiato è andata in totale affanno: nessuna di loro aveva le qualità di Kerber, che ha basato la partita più sull’evidenziare i problemi della Serena attuale rispetto a una giocatrice di alto livello che può impensierirla.

La statunitense sta giocando bene a livello di colpi e pericolosità. Non è una gravidanza alle spalle che possa farle perdere il timing sulla palla o lo spirito combattivo che ha sempre avuto, ma adesso forse servirà uno sforzo ulteriore perché giocatrici che hanno le caratteristiche di Kerber sono, al momento, nelle primissime posizioni della classifica: Simona Halep, Caroline Wozniacki, Sloane Stephens, Kerber ed Elina Svitolina. Per alcuni questa è una top-10 di basso valore, ma in realtà queste possono essere le più ostiche, attualmente, per l’ex numero 1 del mondo. Molto più resistenti in fase difensiva, molto più in grado di allungare gli scambi, complicare le cose, ribattere “a muro” la sua potenza. Poi subentra anche un discorso di superfici: se Serena avesse affrontato Wozniacki nell’eventuale quarto di finale a Wimbledon, probabilmente ci avrebbe vinto perché la danese e l’erba hanno una relazione molto complicata. Dovessero invece affrontarsi sul cemento, i valori in questo momento potrebbero capovolgersi a favore della numero 2 del mondo.

Per quanto questa straordinaria atleta possa nasconderlo, la strada è ancora lunga per arrivare al top. La sua corsa a Wimbledon aveva illuso tanti, la finale ha riportato tutti sulla terra. Se fino a qualche anno fa poteva anche accontentarsi, diciamo, di disputare qualche torneo e avere il picco di rendimento negli Slam, adesso la situazione potrebbe farsi sempre più delicata. Subito dopo lo US Open compirà 37 anni, in un rientro a pieno regime (fisico) che è reso ancor più duro da tutte le complicazioni di salute avute. La sensazione non spinge verso il pessimismo, ma adesso potrebbero entrare in gioco delle variabili che fino a ora non erano considerate, come avere un tabellone “accomodante” e che possa evitarle giocatrici in grado di farle male. Già solo avere il picco di forma negli appuntamenti più importanti può essere un fatto sempre più remoto, starà a lei coprire l’eventuale mancanza con tutto il talento di cui è dotata. Non sarà semplice, non sarà come molti avevamo previsto che fosse, ma dopo 20 anni di grandi trionfi e rientri abbiamo capito che se c’è una che può farlo questa è proprio lei.

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