Federer, Nadal e la santa alternanza

Prima Federer, poi Nadal, poi Federer, poi Nadal... l'anno prossimo saremo ancora qui a parlare di loro?

Nell’anno della prima vittoria al Roland Garros – era il 2005 –, Nadal chiese a un amico italiano dell’ATPdi farlo palleggiare almeno una volta sull’erba con Federer. Lui, ragazzino, si vergognava a chiederglielo. Informato della richiesta, Roger organizzò al volo uno dei suoi scherzetti. Entrò nello spogliatoio sbattendo la porta e chiese urlando all’amico dell’ATP, seduto di fianco a Rafa, chi fosse quel rompiballe che voleva allenarsi con lui. Rimpicciolitosi alla dimensione di un tubo di palle, Rafa alzò il ditino, a indicare se stesso. Finì fra abbracci e prese in giro, e i due andarono in campo assieme.

L’amicizia comincia così, e prosegue ancora oggi, dopo 13 anni, 36 titoli dello Slam (20 per Roger), e 59 trofei Masters 1000 (32 per Rafa) vinti in lieta comunione. La rivalità è invece in divenire, e segue un proprio spartito, talvolta strutturato sul principio della pantonalità dodecafonica, quando a impugnarlo sono le mille voci provenienti dalle opposte fazioni, i ruvidi ma popolari nadaliani, e i pacati ma altezzosi federeristi, pronte a trasformare il web nel loro Campo di Marte. La cosa curiosa è che spesso, nel dare corpo alla Sinfonia degli Opposti, mancano i due strumentisti principali, non tanto interessati a una rivalità compiuta, secondo l’aurea tradizione muscolare così bene espressa da Lucio Anneo Seneca nel suo “Ira” (“Per combattere occorre essere in due a volerlo”), quanto ai benefici di un comune approdo, forse quello di un tennis ideale, governato a due voci, quelle dei Più Grandi di sempre, nel quale la terra rossa appartenga a Rafa, l’erba e il sintetico a Roger, e il “duro” al più forte del momento.

Non a caso, da tempo si è condensata di fianco alle truppe belligeranti dei nadaliani e dei federeristi, una terza fazione, più avveduta nel cogliere il vero significato della disputa, per non dire semplicemente più furba. La chiamano la schiera dei “fedaliani”, da Fedal, sorta di ircocervo tennistico, mezzo Federer e mezzo Nadal, una chimerica ma a suo modo saggia assurdità che fa da acronimo alla ditta più ricca di trofei che si possa immaginare.

Ciò nonostante, non sarà mai quel po’ di ingenuo buon senso a placare i faziosi, non di questi tempi. Dunque, è bastato poco a dare forma a un nuovo rivolo dell’eterna polemica, su chi sia il migliore fra i due, se l’uomo nato per giocare a tennis, che ha percorso la strada del successo senza sudare (dicono “i nadaliani”, sia chiaro), o il muscolare figlio della giungla, che ha conquistato il tennis con il cuore, la corsa e il sudore, opponendo a Sua Altitudine ciò che di più umano appartiene all’essenza stessa dello sport. È bastata una breve considerazione di Rafa, in risposta a una domanda di qualche tempo fa circa gli ultimi confronti con Roger, che l’hanno visto sempre battuto (cinque di seguito, quattro nel 2017). «Be’, se lo incontrassi ogni tanto sulla terra rossa, forse il conto di questi ultimi mesi non apparirebbe così negativo». Eccolo il punto… Federer è due anni che non gioca sul rosso, e ora che Rafa sembra tornato un ragazzino (un po’ come Roger, tanto per restare in tema) e vince a mani basse l’undicesimo titolo a Monte-Carlo, l’undicesimo a Barcellona, l’ottavo a Roma e si appresta a fare lo stesso a Parigi, anche lì per l’undicesima volta, la fazione dei suoi fedelissimi è tornata a dare battaglia, e a scrostare dall’immagine di Federer quel po’ di allure che, a loro dire (e inveire) non può permettersi se non accetta lo scontro a tutto campo.

Ora, a noi la sfida sembra ancora in atto, non cruenta come la vorrebbero i nadaliani, e nemmeno già risolta come sostengono i federeristi. Roger non si è mai tirato via dalla disputa sul rosso, e a Parigi Rafa gli ha mandato di traverso quattro finali, una, nel 2008, a dir poco dolorosa: finì in tre set (61 63 60) e Federer racimolò solo schiaffoni. Lui lo giocherebbe pure il Roland Garros, anzi, giocherebbe ovunque, ma il suo team glielo impedisce, perché oggi “quelli come Roger e Rafa” sono aziende, e devono mirare al mantenimento del prodotto sul mercato (se stessi), il più a lungo possibile. E se Roger gioca Parigi, è difficile che a Wimbledon possa poi correre leggero. Roger sta per compiere i 37, Rafa al Roland Garros ne farà 32. Federer ha vinto di più (20/16 nello Slam, 27/32 nei Masters, 6/0 nelle Finali ATP, 97/78 nei tornei vinti, 309/174 nelle settimane di primato, 116/98 nei milioni di dollari portati a casa, 15/23 nei testa a testa), ma Rafa ha cinque anni per recuperare, se sarà in grado di invecchiare come Federer. Non facile, ma qualcosa indica che ci stia provando (non accetta più i lunghi scambi, per esempio). Ed è probabile che il prossimo anno, sì, forse i giovani saranno ancora più vicini, ma noi saremo ancora qui a parlare di loro.

Dalla stessa categoria