WTA best of 2017: da Martic a Ostapenko, le 10 sorprese più importanti

Le 600 posizioni guadagnate da Petra Martic nel 2017 son passate anche dal Roland Garros, lo stesso torneo che ha portato nella storia Jelena Ostapenko.

La rinascita di Martic

photo credit: Jimmie48

10. P. Martic b. A. Sevastova 6-1 6-1, Roland Garros, R32

Quello che ha fatto Petra, quel giorno, è persino meglio della miglior partita che aveva giocato fin qui in carriera in uno Slam, quando surclassò Anabel Medina Garrigues a Parigi, edizione 2012. Quella volta fu il torneo che fece conoscere a tanti il gioco speciale di questa ragazza croata, molto alta, definita una “ballerina” per l’eleganza del servizio, degli slice radenti, degli approcci a rete.

Petra è una giocatrice che poteva fare molto bene nel corso della sua carriera. Lei ancora crede di ottenere qualcosa di importante e in fondo non possiamo che augurarglielo, ma il prossimo anno spegnerà 27 candeline e non è mai entrata tra le prime 40. C’è completezza e fragilità nel suo gioco, bloccata prima da problemi sportivi personali (a Stoccarda nel 2015 ci rivelò che per lungo tempo si lasciava troppo condizionare dall’umore del giorno e non riusciva ad impegnarsi come voleva) poi quando aveva trovato qualche timido risultato e aveva costruito un piccolo team di persone che riteneva amiche si è bloccata la schiena ed è stata costretta a uno stop di 11 mesi che la vide precipitare al numero 667.

Di talento però questa ragazza ne ha e ha creduto di poter risalire la china ricominciando a giocare dai tornei ITF di livello minimo, vincendo a Santa Margherita di Pula ad inizio aprile 2017 e poi mano a mano alzare il livello fino ad arrivare a Parigi. Doveva essere un test, il tabellone di qualificazioni con un protect ranking, e ha finito per qualificarsi vincendo una battaglia di 3 tie-break nel terzo turno. Ha vinto poi altre tre partite nel tabellone principale di cui soprattutto il match contro Anastasija Sevastova deve essere sottolineato per bene: pazzesca la qualità di gioco messa in piedi quel giorno. La lettone, che pure aveva alle spalle un’ottima stagione sulla terra, vittorie contro Karolina Pliskova e Kiki Bertens (a Madrid, dove fece semifinale) quel giorno fu senza armi e neppure quel rovescio così classico nell’impostazione e fantastioso per la qualità dei colpi che ne escono ha potuto opporre resistenza a una Martic scatenata fin dai primissimi game. Se non visualizzate gli highlights qui sotto, cliccate qui)

9. D. Gavrilova b. A. Radwanska 6-4 6-4, New Haven, SF

Eravamo indecisi tra questa e la finale poi vinta dalla stessa Gavrilova contro Dominika Cibulkova, ma nel match contro la slovacca la qualità del gioco fu alta da entrambe le parti, quindi questa può benissimo essere catalogata come sorpresa importante. Già, importante, perché l’australiana per tipologia di gioco farà sempre molta fatica a battere Agnieszka Radwanska, anche negli anni più difficoltosi (come il 2017) della polacca: non ha un vero colpo di chiusura, non ha situazioni di gioco dove è in assoluto comando. Corre, difende, scambia a lungo, cerca di colpire in maniera offensiva, ma ancora raccoglie meno di quello che potrebbe e il vero valore lo si vede più nella voglia che mette ogni volta che scende in campo e nella volontà di muoversi lungo tutto il perimetro di gioco, colpendo in più modi senza mai scadere nella banalità anche a costo di fare errori grossolani.

Radwanska, con una che ha queste caratteristiche, dovrebbe andare a nozze: scambi lunghi a ritmo non troppo elevato, possibilità di gestire le situazioni a piacere e creare le sue trame. Eppure quella sera è stata sconfitta in maniera anche più pesante di quello che poi il punteggio ha detto, perché nel primo set era indietro 0-4 e nel secondo era andata a sua volta sullo 0-2. Gavrilova, dal canto suo, ha sbagliato pochissimo. Come atteggiamento e prestazione ha ricordato tanto la giocatrice che due anni fa ormai batteva Maria Sharapova a Miami. C’è del potenziale importante nel suo gioco, e più riuscirà a raggiungere un livello simile a questo, più sarà efficace.

Bouchard sorprende tutti a Madrid


8. E. Vesnina b. V. Williams 6-2 4-6 6-3, Indian Wells, QF

Sarebbe da citare tutto il torneo compiuto da Elena Vesnina, ma avevamo già detto molte cose riportando la finale contro Svetlana Kuznetsova tra le 10 partite più belle della stagione. Prima di quella maratona, lo scoglio più duro rappresentato nei quarti di finale da Venus Williams, che non era in perfette condizioni fisiche (veniva da prove non esattamente positive contro Shuai Peng e, soprattutto, Jelena Jankovic dove fu indietro 1-6 3-5) ma che sembrava aver trovato il modo per girare anche questa sfida.

La russa dominò il primo set, poi un po’ si incartò e un po’ subì l’importante rientro dell’avversaria e quando Venus mise a segno il 6-4 sembrava tutto apparecchiato per un nuovo successo che le avrebbe dato (almeno sulla carta) i gradi di favorita numero 1 alla vittoria finale in un torneo comunque incerto ed equilibrato dal primo all’ultimo giorno. Il break subito dalla russa nel primo game della frazione decisiva sembrava, anche lì, un semplice viatico al finale più pronosticabile, invece ci fu un’importante reazione di Vesnina che infilò 5 dei successivi 6 game. Sul 5-2 mancò 3 match point in risposta e Venus tornò alla carica nel tentativo di ritrovare l’equilibrio nel punteggio ma dallo 0-40 mancò in tutto 6 palle break. La resistenza della russa fu estrema, ottima e a tratti magari anche un po’ fortunosa, ma bravissima a non farsi prendere dal panico perché nel momento più importante non riusciva a mettere la testa avanti: 3 match point mancati, subito sotto 0-40, pur rientrando non aveva chance di arrivare a match point dunque potremmo quasi dire di 6 palle break consecutive annullate. Già quel giorno il nostro inviato ad Indian Wells le chiese come fosse riuscita a resistere in quel frangente al veemente ritorno di una giocatrice sospinta da tutto il pubblico in un momento già mentalmente complicato, poi ancora dopo la vittoria contro Kuznetsova siamo tornati su quel game per vederlo con un’ottica diversa, ovvero: è stato quello il momento chiave della tua settimana? Lei, sorridendo: “No, è stato quando ho battuto Shelby Rogers al primo turno contro cui avevo sempre perso”. Va bene Elena, è il torneo più bello della tua carriera da singolarista, avremmo accettato ogni risposta perché ogni momento deve essere stato speciale e determinante.

7. E. Bouchard b. M. Sharapova 7-5 2-6 6-4, Madrid R32

Il match di Madrid si presentava da solo: bastava accennare all’insofferenza che Eugenie Bouchard prova per Maria Sharapova e subito si aprivano filoni narrativi capaci di riempire pagine e pagine. Non è mai stato un sentimento ricambiato, almeno a quello che traspare, perché la russa si è sempre mostrata superiore anche quando veniva attaccata un po’ da chiunque per la vicenda doping e la canadese, fiutando l’occasione, si è auto-eletta a salvatrice del popolo prima gridando più volte la sua insoddisfazione nel vedere Sharapova di nuovo in campo poi nella conferenza stampa post-partita a Madrid con la celebre frase: “Ho parlato con tante giocatrici, anche chi non aveva avuto il coraggio di esporsi pubblicamente, ed erano tutte dalla mia parte: ho vinto anche per loro”. Il giorno dopo, Svetlana Kuznetsova disse: “Bouchard? Ma lei non parla con nessuna…”. A ruota, un commento molto simile venne fatto anche da Simona Halep e altre giocatrici.

A livello tennistico la partita seppe offrire qualcosa di importante, ma l’andamento fu molto a sprazzi nonostante l’alta intensità proposta. Bouchard giocò bene, a tratti molto bene, ma fu l’unico caso della sua stagione: tre settimane prima rimediava 3 game contro la numero 897 del mondo, da Parigi in poi furono soprattutto disastri, senza dimenticare l’infortunio alla caviglia proprio la settimana prima del Roland Garros. Quella sera però aveva una rabbia e una determinazione che le permisero di battere chi fino a quel momento l’aveva sempre superata in tutto e che, a dirla tutta, quella sera neppure si trovava nel miglior momento (i due errori sul 4-4 40-15 al terzo sono stati gravissimi nell’economia dell’incontro) appena rientrata dopo 15 mesi di stop.

La favola di Lucic Baroni


6. M. Lucic Baroni b. Ka. Pliskova 6-4 3-6 6-4, Australian Open, QF

È tra le storie più belle dell’anno, tra il rientro di Petra Kvitova, tra Allie Kiick che ricomincia a giocare dopo due anni e mille problemi, tra la risalita di Sloane Stephens, Petra Martic, Magdalena Rybarikova, Ashleigh Barty.

Mirjana Lucic Baroni, l’ex bambina prodigio con la carriera (ma diciamo anche la vita) rovinata da uno dei padri più spietati, crudeli e senza cuore che ci siano. Picchiata a lungo dopo ogni sconfitta finché a 19 anni non riuscì a scappare di casa. Era forte, fortissima. Era già arrivata nei piani alti dei tornei più importanti, aveva già battuto giocatrici di altissimo livello, eppure nella sua vita c’era l’ombra ingombrante di un incubo che non si sarebbe mai fatto da parte se lei non avesse agito. E pur scappando negli Stati Uniti ricevette minacce di morte, di vendetta, fu accusata di doping da un’azienda farmaceutica che ricevette consiglio dallo stesso padre, si ritrovò senza un soldo e smise per 6 anni col tennis. Riprese verso il 2009 e prima dell’Australian Open 2017 ottenne qualche soddisfazione solo a cavallo tra 2014 e 2015.  Poi Melbourne, un inizio in sordina contro Qiang Wang, poi l’exploit contro Agnieszka Radwanska e quello ai quarti contro Karolina Pliskova.

Si vedeva che stava giocando benissimo: si muoveva molto bene lungo il campo e limitava tantissimo gli errori, anzi sovrastava la velocità di palla della ceca e trovava spesso modo di affondare il colpo. Nel terzo sembrava in un momento di difficoltà: il gioco era più spezzettato e Pliskova sembrava aver preso il comando con un break per il 4-3 e servizio. La croata invece diede tutto quello che aveva negli ultimi minuti e collezionò 3 game consecutivi. Commovente l’immagine finale con lei in lacrime tra le braccia di Rennae Stubbs.

5. M. Rybarikova b. Ka. Pliskova 3-6 7-5 6-3, Wimbledon, R64

Ancora una bella storia di una giocatrice al rientro che compie un exploit, ancora (sfortunata) protagonista Karolina Pliskova. La ceca a Wimbledon non ha ancora superato il secondo turno ed il dato fa abbastanza scalpore se si pensa alla tipologia di gioco che possiede. L’erba di oggi però non è più così amica dei giganti e non fornisce chissà quali vantaggi ai grandi servitori perché tutti sanno rispondere, sia nel maschile che nel femminile dove (come disse anche Federer parlando della risposta di Bencic) è un particolare che invece allenano tantissimo perché sanno che difficilmente chi è dall’altro lato ha un servizio devastante. Pliskova potrebbe fare eccezione, ma su erba invece potrebbe verificarsi l’opposto: se la risposta è buona, lei può andare in difficoltà molto più spesso del previsto. Vuoi perché il colpo è profondo, vuoi perché la palla arriva nella sua zona che lei ancora non ha completato il movimento, vuoi perché su un’erba fresca può avere difficoltà a muoversi e se il colpo è angolato difficilmente può arrivarci. Rybarikova, in più, ha un gioco estremamente vario e intricato da decifrare che può dare fastidio: smorzate di dritto e rovescio, slice, attacchi a rete. A metà marzo era intorno al 450 del mondo dopo 8 mesi di infortunio e tra maggio e giugno ha collezionato circa 20 vittorie che l’hanno riportata vicina alle prime 30.

Pliskova mal digerisce l’erba fresca, ma quel giorno trovò davanti una che non mollava un punto (come si vede in quello che può essere definito il punto del torneo).

Mladenovic non teme nessuno


4. A. Krunic b. J. Konta 4-6 6-3 6-4. US Open, R128

Come Gavrilova, Aleksandra Krunic è una giocatrice che se diventasse veramente concreta sarebbe una delle più apprezzate sotto l’aspetto della varietà. La classe della serba è enorme, e allo stesso modo la sua onestà nel dire che non ha mai avuto un vero stimolo nel giocare finché quest anno, dai primi mesi estivi, non ha ottenuto i primi risultati nel circuito WTA ed è diventata una tra le più vincenti degli ultimi mesi con un balzo di circa 70 posizioni nel ranking e l’approdo nei pressi della top-50.
Difesa, attacco, rapidità, slice, smorzata, smash, servizio potente. Difetta forse solo in altezza, dove supera appena 1 metro e 60, ma in Serbia credevano veramente tanto su di lei che per qualche motivo ha sempre finito per smentire i buoni propositi. “Non è un mistero che spesso ho messo troppa negatività in me stessa, finendo per perdermi” disse a margine del successo contro Johanna Konta, nel primo turno dello US Open di quest anno. Quella partita è stata una piccola svolta, perché ha suggellato il rientro in top-100 dopo altre vittorie importanti nei mesi precedenti e da lì ha trovato anche un nuovo terzo turno Slam (mancava da Wimbledon 2015) e due settimane più tardi la prima finale nel circuito WTA maggiore con una dignitosissima partita persa solo al terzo contro Shuai Zhang.

Battere la britannica, a New York, giocando così senza paura e facendo lei la partita contro chi doveva vincere per cullare sogni di numero 1 (era quasi impossibile riuscirci, per Konta, ma il computer le dava una chance) nonostante il periodo di grande appannamento non poteva che riportare alla mente l’incredibile cammino del 2014 quando eliminò in serie Madison Keys e Petra Kvitova, prima di arrendersi solo al terzo contro Victoria Azarenka.

(Niente highlights qui. YouTube o qualsiasi altro sito ci vuole male)

3. K. Mladenovic b. M. Sharapova 3-6 7-5 6-4, Stoccarda, SF

Più o meno la stessa vicenda della partita di Sharapova contro Bouchard. Kiki Mladenovic però si è abbastanza ravveduta di quanto detto 2 giorni dopo la confessione della russa mentre la canadese è andata avanti anche 15 mesi più tardi rincarando la dose il più possibile dopo il successo di Madrid. La francese invece, dopo aver usato parole piuttosto pesanti, dodici mesi più nel momento del rientro chiarì il concetto: contro la persona Sharapova lei non aveva nulla, ma il fatto che la tennista Sharapova fosse stata beccata positiva doveva portare a una punizione importante al di là di quello che aveva raccolto in carriera e del rispetto che provava nei suoi confronti. Così il karma ha voluto giocare uno scherzetto non da poco: torneo del rientro, Mladenovic-Sharapova in semifinale. Il clima era molto teso: un giro su Twitter il giorno prima quando Kiki batteva Carla Suarez Navarro e Maria faceva lo stesso contro Anett Kontaveit e si poteva leggere qualsiasi cosa di chi augurava le cose peggiori alla francese, o semplicemente la voleva vedere sconfitta pesantemente. La russa tra l’altro aveva giocato un ottimo torneo fin lì e se avesse raggiunto la finale non avrebbe dovuto penare per la wild-card al Roland Garros (“sono pronta anche a giocare tra gli junior se me lo consentono” era il concetto: ergo, avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di giocare). Invece…

Invece succede che Mladenovic ha tirato fuori il meglio del suo repertorio per rientrare nel match da 3-6 0-2, da una fossa non facile da risalire. Sharapova, man mano che la partita andava avanti, sembrava sempre più stanca ma era molto brava a non farlo notare più di tanto. La francese, però, per un giorno le fu superiore: ottima la palla corta a chiudere un game molto lungo sul 5-5, ancor di più il gioco messo in campo per allungare nella fase centrale del set decisivo e non demoralizzarsi più di tanto per aver perso la battuta sul 5-3.

Il capolavoro di Ostapenko


2. M. Brengle b. S. Williams 6-4 5-7 6-4, Auckland, R16

Tutto ci si poteva attendere, dal 2017, tranne che l’unica sconfitta patita da Serena Williams maturasse contro Madison Brengle. Poi ovvio, ha giocato appena 2 tornei e quindi il dato viene ridimensionato, ma rimane tutt’ora inconcepibile come quel giorno, ad Auckland, la giocatrice che per 27 tornei dello Slam di fila tra il 2008 e il 2015 non sia riuscita a superare le qualificazioni abbia superato la grande campionessa e connazionale.

Gli 88 gratuiti di Serena hanno un peso specifico rilevante, ma per esempio anche a Parigi, nel 2015, giocò due partite molto difficili e con tantissimi errori tra semifinale e finale riuscendo a cavarsela. Paragonare uno Slam con un WTA International è quanto di più strambo e ardito possibile, però quel giorno la statunitense proprio non c’era, persa a lamentarsi di se stessa, del vento, degli errori. Una polemica talmente esasperata dai gesti che non è affatto piaciuta al direttore del torneo come ai giornalisti o ai fan che aspettavano a braccia aperte Serena e si sono ritrovati la brutta copia, incapace di superare un match ampiamente alla sua portata pur ad un 50% della forma. La stessa Brengle, candidamente, diceva alla sua compagna di doppio a bordo campo: “Pensi che sia stupita da quanto io sia scarsa?”. Così, al servizio sul 4-5, Serena ha completato la frittata con un doppio fallo sul terzo match point offerto.

1. J. Ostapenko b. S. Halep 4-6 6-4 6-3, Roland Garros, F

In altre circostanze Serena avrebbe avuto il numero 1 anche in questa classifica, ma quanto accaduto a Parigi non può che meritare il gradino più alto di questo podio. Jelena Ostapenko, 20 anni ancora da compiere ad inizio torneo e 20 anni appena compiuti alla fine, all’ottavo torneo Slam della carriera realizza un capolavoro che passerà alla storia e di cui lei godrà per tutta la vita, perché nessuna tennista lettone (e allo stesso modo tra i maschi) aveva compiuto qualcosa di simile, nessuna era poi entrata in top-10, nessuna che stia avendo lo stesso risalto della giovanissima Aljona (che ricordiamo: è il suo vero nome di battesimo).

Una partita vinta contropronostico, resa ancor più difficile quando si era trovata sotto 4-6 0-3 e tre palle dello 0-4 da annullare. Fantastica la rimonta, fantastica la grinta, fantastica l’aggressione messa in campo non solo in quelle due ore ma in entrambe le settimane di una cavalcata storica: 5 partite al terzo set, 5 partite dove ha dovuto rimontare un set di ritardo. 299 vincenti, l’ultimo dei quali con una risposta lungolinea di rovescio che è sembrato un colpo da biliardo: botta secca, la palla che traccia una linea dritta per dritta in un game dove aveva ottenuto ogni punto con risposte vincenti o comunque determinanti. Un po’ di fortuna, anche qui, quando sul 3-3 ha preso il break di vantaggio con un nastro veramente di parte, ma anche solo riguardo gli highlights su YouTube ci si accorge di una cosa: tanto equilibrio per un set, poi l’allungo della rumena nel momento in cui la lettone subiva il contraccolpo del parziale perso, ma da quel game sullo 0-3 nel secondo set fino alla fine diventa quasi un assolo di Ostapenko: 54 vincenti nella singola partita, alla prima finale Slam.

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