Meglio i court della Court

Un Roland Garros che stenta a divertire, ma dagli ottavi le cose andranno meglio. Una postilla sul caso dell'omofobia di un'australiana.

Non è stata una di quelle giornata che sarà ricordata tra 100 anni, quella appena trascorsa a Parigi, ma qualcosina di cui parlare c’è. A parte Dimitrov – che quando è andato 4 a 0 ha  dato modo a vecchi guardoni incalliti di vincere qualche euro scommettendo sulla perdita del set – e Pouille – e qui qualcuno dovrebbe pur spiegarci cosa aveva bevuto quando ha detto che lo vedeva vincitore di uno slam per il solo fatto di aver battuto Nadal a New York, hai capito che impresa, contro quello del 2016 poi –  Djokovic ha pensato di regalare qualche emozione e qualche illusione ma quando ha deciso di chiudere ha chiuso. Certo, anche Zeballos nessuno si aspettava di vederlo agli ottavi, ma del resto gli slam sono come i mondiali: servono a scoprire che fine hanno fatto quei giocatori di cui non si ricorda nessuno. L’argentino ha approfittato di uno dei due ritiri della giornata, quello più grave, che ha visto protagonista il povero David Goffin che da quella palla contestata nella famigerata semifinale contro Nadal a Montecarlo, è entrato in un loop dal quale non sarà l’erba a farlo uscire. L’altro ha consentito a Raonic di risparmiare qualche energia che gli tornerà buona nel suo ottavo contro Carreno-Busta, che a nostro modesto modo di vedere non parte sfavorito, sulla terra parigina. Insomma alla fine tutto si è ridotto a “come sta Nadal” e a “come sta Djokovic”. Come meglio non si potrebbe il primo, e così così il secondo. Rafa sembra davvero impossibile da fermare ha perso fin qui solo 14 game e mai, da quando gioca al Roland Garros era arrivato in queste condizioni agli ottavi. Adesso avrà di fronte Bautista-Agut e non si vede come questo possa essere un problema. Guardando avanti ci sono o Raonic o, appunto, Carreno-Busta, figuriamoci. Insomma Rafa si giocherà la decima su due partite: la semi, contro Djokovic o, considerato le condizioni del serbo, Thiem; ed eventualmente la finale, dove troverà in ogni caso uno in grado di metterlo un po’ in difficoltà, sia esso Murray, Wawrinka o Nishikori, difficile pensarne un altro.
Da qui a venerdì prossimo ci saranno degli allenamenti che l’intelligentissimo Nadal utilizzerà per spaventare ulteriormente gli avversari, e quindi si può essere ragionevolmente sicuri che non perderà troppo tempo a liberarsi dei propri avversari. La ferocia con la quale ha abusato del povero Basilashvili del resto parla chiaro.
Inutile dire che per Djokovic le cose sono abbastanza differenti. Per quanto si possa provare a dare credito al serbo, andare sotto due set a uno contro Schwartzman è un segnale davvero poco incoraggiante. Va bene che non è mai sembrata in discussione la qualificazione e che nei due set conclusivi ha concesso la miseria di due game, ma per questo Djokovic la semifinale sarebbe già un gran successo. Adesso trova  Alberto Ramos e magari potrà scherzare un altro po’ ma già con Thiem, che avrà una specie di Bye con Zeballos, non è detto che ne venga a capo. Tutto questo per dire che dagli ottavi della parte bassa del tabellone maschile meglio non attendersi troppo, questo Roland Garros inizierà non prima di martedì prossimo.

Anche le ragazze sembra si siano assestate. Hanno vinto tutte le favorite e sebbene Mladenovic e Kuznetsova abbiano faticato alla fine avremo i migliori ottavi desiderabili, dopo la prematura eliminazione della Kerber e comprendendo che Petra Kvitova più di così non poteva fare. A differenza del torneo maschile però, gli ottavi saranno interessantissimi e tutt’altro che scontati. Anzi, è davvero complicato capire chi delle otto ragazze arriverà ai quarti di finale. Come sta capitando abbastanza spesso ultimamente, il torneo femminile promette un’incertezza che il torneo maschile è ben lontana dall’avvicinare, a prescindere dalle considerazioni tecniche sulla qualità delle varie Ostapenko,  Bacsinszky, e Bellis, nel caso dovesse riuscire a completare la rimonta contro Caroline Wozniacki.

Ma non possiamo evitare di chiudere queste note tornando sul disgustoso caso dell’ex tennista australiana, che speriamo possa cadere presto in quell’oblio che la sua straordinaria carriera (?) non meriterebbe, ma tant’è. Per una volta i giocatori si sono dimostrati più maturi di cinici e non troppo colti giornalisti che hanno sproloquiato a casaccio di politically correct, libertà di opinioni e di questioni un po’ troppo sofisticate per loro, che farebbero bene ad attenersi al tennis, rimanere nella loro “confort zone”, a prendersela con Fognini. Dopo la lettera di Martina, che abbiamo tradotto ieri, si sono susseguite le dichiarazioni del solito meraviglioso Murray che ha detto di sperare che “risolvano la questione prima di gennaio, in modo da evitare che qualcuno possa perdere uno slam per essersi rifiutato di giocare in un campo a lei intitolato”; di Samatha Stosur, australiana, che ha adombrato l’ipotesi di un boicottaggio se la federazione australiana non dovesse cambiar nome a quello stadio;  James Blake, Casey Dellacqua, Richel Hogenkamp e tanti altri. Si viene presi da un curioso effetto di straniamento nel constatare che semplici tennisti mostrino una sensibilità per una delle peggiori e schifose discriminazioni maggiore di chi, almeno per mestiere, si suppone debba aver letto qualcosa di più della lista della spesa. E che debba essere una ex tennista a ricordare l’ovvio, è desolante. Quando si decide di dare il nome di qualcuno ad un edificio non è esclusivamente per i meriti che questo può avere acquisito nel suo campo, ma perché la sua intera vita è un modello da indicare a chi quell’edificio lo frequenta, lo vive.
Non esiste nessun dipartimento di filosofia dedicato a Martin Heidegger che è stato uno straordinario filosofo, ma non sentì la puzza del fumo dei campi di concentramento.
E vorremmo chiudere questa penosa vicenda ricordando che dopo la fine della seconda guerra mondiale von Karajan andò a tenere un concerto a Tel Aviv. Gli israeliani comprarono tutti i biglietti di quel concerto e lasciarono la sala vuota. Ed era von Karajan, non una signora che sapeva colpire una palla da tennis. E se caso mai alla stampa italiana questi paragoni dovessero sembrare eccessivi vale la pena ricordare che la signora in questione quando non fecero entrare Arthur Ashe in Sudafrica perché era nero ebbe a commentare che “il Sudafrica [ha] la politica razziale più organizzata di ogni altro paese, certamente migliore rispetto agli Stati Uniti”. No, le opinioni non sono come i gusti dei gelati. Che pena.

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