Immaginando Roma. L’apparizione di Vitas Gerulaitis

Nel 1977 tutti andarono a Roma per vedere la conferma di Panatta. Trovarono Vitas Gerulaitis, un uomo che fu più dei suoi risultati.

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Non è sempre stato così. C’erano una volta gli anni ’70 e durante la seconda metà, complice Borg, Panatta e tutte quelle cose, dicono che il tennis romano aveva acquistato un’anima popolare. Non era proprio così. Era che gli spalti del torneo romano vennero, più o meno improvvisamente, frequentati da un sacco di gente che non si limitava ad applaudire sbadigliando l’ennesima impeccabile volée ma, terribile peccato, a sperare che vincesse uno invece che l’altro. E, come se non bastasse, esprimevano questo loro turbamento con urla e strepiti. Se poi da una parte della rete c’era uno nel cognome aveva la vocale finale, allora la partita di tennis diventava qualcosa a metà tra il circo e gli spalti di una partita di pallavolo o di basket.

L’anno prima aveva vinto Panatta, che poi vinse Parigi, la Coppa Davis e poi basta. Era sufficiente perché ci si desse appuntamento nello stesso luogo e alla stessa ora perché quelli che l’anno prima avevano fatto l’errore di rimanere a casa potessero mettersi in pari. Panatta arrivò come sempre: bello e sprezzante, l’aria annoiata, le sigarette, il ciuffo.  Pare abbia voglia, concede quattro game a Saviano, altri quattro a Gullikson e regola con agile 6-4 6-3 Trey Waltke. Nei quarti di finale Adriano però trova un biondino con i capelli lunghi, quasi la criniera di un leone. Lituano. Si tratta di uno molto a proprio agio allo Studio 54, uno di quei posti in cui ci si diverte ballando, cantando e che fa tanto, crediamo, “febbre da sabato sera”. Fino al sabato prima il “leone lituano” (andava così, che ci possiamo fare?) era lì, a ballare e cantare. Racconta che la cosa che gli interessa davvero è essere invitato alle feste e di consumare ogni dollaro che guadagna col tennis. Ha avuto, pare, una relazione con Chris Evert e non poteva mancare Andy Warhol e la sua idea di ritrarlo.

Panatta lo aveva già affrontato qualche mese prima sulla terra di Houston, quando dopo due tiebreak, aveva vinto 6-1 il terzo set e il torneo. Così quando il romano si aggiudica il primo set con lo stesso 6-1 ci si può rilassare. Solo che il leone comincia a ruggire e vola sul 4 a 1. Sul 3-5 Panatta, trascinato dal pubblico urlante, salva due set point e torna in partita, riuscendo ad arrivare al tiebreak. Qui fa un altro miracolo tra il pubblico impazzito, risalendo da 1-6. Non basta, Adriano perderà il tiebreak per 8-6 e la partita. Il fatto è che Vytautas Gerulaitis, così si chiama il leone, la sera prima aveva ricevuto una telefonata da Bill Bereman, il suo capo negli Indiana Love – una squadra, c’erano pure le squadre –  che gli intimava di tornare a casa. “Dice che se non torno a giocare contro Borg dovrò pagare una multa di 19 mila dollari. Sono costretto a vincere questo torneo, altrimenti come faccio a pagarla?”. Inutile ricordargli che di dollari gliene davano 250.000 perché Gerulaitis quei soldi li aveva sicuramente spesi. Costretto dalle dure circostanze, batte Gottfried in 4 set e in finale trova un altro italiano, Tonino Zugarelli.

Gerulaitis naturalmente non è lituano, ma uno statunitense di New York che ha già fatto 17 finali, però ne ha vinte appena 4. Gioca il suo Serve and Volley è molto pulito e si muove benissimo. A Wimbledon ha vinto il doppio un paio d’anni prima, ed è un giocatore in sicura ascesa, una delle speranze USA. Vitas vince il primo set per 6-2, chiude a 2 il tiebreak del secondo ma nel terzo, sul 3-1, Zugarelli trova cinque game di fila e lo porta al quarto. Durante il riposo, si andava lenti negli anni ’70, a Tonino gli sistemano la spalla. Quando tornano in campo Vitas fa in tempo per andare 3-1, Zugarelli recupera e si porta sul 6-5. Quello che succede in quel game con i tre set point per Zugarelli, Tonino lo racconta ne “il riscatto di un ultimo”. I due vanno al tiebreak e Gerulaitis evita un quinto set magari insidioso. Con i 21.000 dollari può pagare la multa e gli restano anche degli spiccioli per andare negli states, saltando il Roland Garros, e poi tornare in tempo per Wimbledon, per quella semifinale contro Bjorn Borg, sempre quello, consegnata alla storia.

Vitas vincerà il suo slam a fine anno, in Australia, ma a lungo dirà che “il mio torneo più importante è stato Roma. Con i soldi pagai quella multa e il biglietto aereo, ma valeva la pena vincere non certo per i soldi. Fu la volta che capii che anche sulla terra ero un buon giocatore”.

Gli aneddoti sul vincitore di Roma si sprecano. La sera prima della partita di Houston contro Panatta disse alla ragazza con cui aveva appuntamento che stava troppo male per andare con lei alla festa. La ragazza ci andò da sola e incontrò dei giornalisti che le chiesero come mai fosse sola. La mattina dopo cominciarono a chiamare Vitas che morto dalle risate rispondeva “ma davvero ci avete creduto?”. Se saltava un torneo e prendeva una multa da 10 mila dollari si limitava a commentare “vorrei solo una buona spiegazione. Da 10 mila dollari”.

Vitas vincerà ancora Roma due anni più tardi, proprio al quinto quando ormai è un giocatore affermato. Non è più la grande speranza, anche perché nel frattempo è arrivato un altro newyorchese irascibile, che ha l’aria di divertirsi meno fuori dal campo. Vitas ci perderà nella finale casalinga a Flushing Meadows e poi arriverà in finale al Roland Garros inutile dire contro chi, inutile dire il risultato. Gli anni ’80 importano poco, Gerulaitis inizia il suo declino, a Roma gioca l’ultima volta nel 1982.

Sono passati quarant’anni dalla prima vittoria di Roma. Quaranta gli anni di vita del leone lituano, che morirà dopo una festa nel 1994. Non è il caso di fare pettegolezzi.

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