28 maggio 1976: a Roma Solomon abbandona il campo contro Panatta

In vantaggio 5-4 al terzo contro Panatta, il regolarista Harold Solomon si ritira mentre è al servizio per una chiamata dubbia a suo sfavore. Adriano si salva in modo rocambolesco da una probabile sconfitta e ha via libera per il suo unico titolo romano

Che ci fosse più tennis in un una falangetta di Panatta che in tutti i 170 cm scarsi di Harold Solomon non esiste dubbio. Ma molto probabilmente, senza quel colpo di scena, lo statunitense avrebbe vinto la partita e Adriano perso il suo unico trofeo romano.
“Sliding Doors” ventidue anni prima.

Il 1976 sarebbe stato il suo anno ma in quei giorni di maggio sulla sabbia rossa del Foro ci sarebbe voluto Tiresia per vaticinare i trionfi (Roma, Parigi, Davis) che attendevano Adriano. Al primo turno aveva vinto salvando undici match point, dieci in risposta, al rognoso australiano Kim Warwick. Si incontrarono ancora poche settimane dopo sull’erba del Queen’s. Panatta è sotto 1-5 nel primo set, annulla una lunga serie di set point e vince il parziale. L’altro gli va incontro, gli stringe la mano e borbotta “…basta, sono stufo. Mi hai rotto con queste rimonte, mi ritiro”.
Nel turno seguente stende Franulovic, poi batte a fatica Zugarelli, che sarà finalista l’anno seguente contro Gerulaitis. E viene il giorno dei quarti di finale.
Venerdì 28 maggio 1976. Caldo, molto caldo.
Oltre il net, ma non molto più in alto, si profila la tozza figura di un tennista di Washington. Ha ventiquattro anni e il petto villoso, gioca il rovescio bimane con una racchetta Rossignol bianca, è un pallettaro che non passa mai la linea del servizio.
Lea Pericoli con sovrano disprezzo lo battezzerà “il sorcio maledetto”. Si chiama Harold Solomon. Secoli fa lessi un articolo tecnico nel quale spiegava come e quando giocare la “palla stellare”, un lob altissimo e lungo che usava per rompere il ritmo in palleggio agli avversari più potenti. Raggiungerà la quinta posizione mondiale a fine 1980.
In patria è noto anche perché gioca il doppio con Eddie Dibbs, uno che sembra il suo clone in tutto, altezza, gioco, peso e… pelo. Laggiù li chiamano “Bagel Twins”.
Panatta perderà in carriera solo il primo dei loro sei confronti ma quando si incrociano a Roma i precedenti sono in parità.

Lo stile di gioco di Solomon è l’ideale per Adriano, che soffre molto di più gli attaccanti pari suoi. Nel primo set gioca il tennis migliore della stagione. Potente in battuta e regolare nel palleggio, libera la sua creatività con palle corte e rasoiate d’attacco in chop lungo la riga per un 6-2 in 47 minuti che sembra il preludio a una facile vittoria.
Però “Mai dire le ultime parole famose” avverte Billy Crystal in Forget Paris.
E infatti…
La resistenza fisica non è mai stata il punto forte di Panatta e sotto questa luce il suo veloce stile di gioco, sempre in bilico fra coraggio e azzardo, appare una scelta naturale.
Dopo uno scambio di break iniziale, verso la metà del secondo set, la vena del nostro comincia ad esaurirsi. Solomon è un abile tattico e capisce in fretta, avanza di un metro e comincia a colpire degli incrociati stretti che costringono Adriano a continue e sfibranti rincorse. Quando poi conquista la rete lo fa con qualche secondo di ritardo che si trasforma in spazio nel quale Harold piazza i suoi inesorabili passanti. È una candela che si consuma, lo statunitense la spegne con un break al dodicesimo gioco che gli vale il 7-5 del pareggio.

Il passo strascicato e la testa china con i quali Panatta raggiunge la sua seggiola non lasciano presagire nulla di buono. In quel preciso momento una brezza fresca concede ristoro ai duellanti. Il Ponentino di casa rinvigorisce Adriano, che ritrova il bandolo della matassa e vola inarrestabile sul 4-0. Ma lo statunitense non muore mai né tantomeno molla e rosicchia lo svantaggio, approfittando del calo visibile del suo avversario. Sotto sguardi increduli pareggia e brekka per la terza volta consecutiva portandosi sul 5-4 e servizio. Al cambio campo nessuno scommetterebbe un sesterzio sulla vittoria di Panatta, il quale sembra non averne davvero più. Però lassù qualcuno lo ama…
Adriano conquista il primo punto con una discesa a rete, sul seguente è chiuso all’angolo e alza un lento rovescio difensivo che rimbalza nei pressi della riga di fondo. Dentro o fuori? Solomon attende la chiamata del giudice di linea e quando questa non arriva affretta un dritto scomposto che muore in rete. Sarebbe lo 0-30 ma a quel punto Solly perde la brocca. L’arbitro di sedia Martini valuta il segno lasciato dalla pallina e chiede parere al giudice di linea Pino Cosimo. Quando questi conferma la sua chiamata lo statunitense accenna a colpirlo e la situazione precipita. Il pubblico si infiamma, Harold chiede a Panatta, che in quattro occasioni precedenti aveva concesso il punto, di andare a controllare ma Martini gli impedisce di entrare nel campo avversario. Sordo alle continue richieste di riprendere il gioco Solomon si infuria sempre più e alla fine varca il Rubicone, prende sottobraccio il suo fascio di racchette ed esce dal campo sotto gli ululati della folla rispondendo a tono e a gesti.
Ecco le sue parole:
“I pointed to the mark where the ball landed and told Adriano I’d show him where it hit, but the referee stopped him from coming around the net and told me to continue the match or get off. The referee told me the crowd was going crazy and to play or get off, but he wouldn’t let me explain. So I said something a little stronger than goodbye’ and left”.

Queste invece le dichiarazioni dell’Adriano Nazionale:
“E’ un successo che non mi dà nulla. Sono stato quasi tre ore in campo e vincere così proprio non mi va. Solomon non è sfato corretto né verso di me né verso gli spettatori, lo non mi sarei mal ritirato. Quando oggi un giudice ha sbagliato, all’inizio, una valutazione, così come avviene senza strepiti e isterismi in qualsiasi altra parte del mondo, da Parigi a Wlmbledon, dalla Svezia agli Stati Uniti, ho dato il punto a Solomon, che anzi mi ha detto che forse era meglio rimettersi al verdetto arbitrale”.

Fu la sua buona stella a trarlo d’impaccio ma lui seppe poi meritarsi quella fortuna distruggendo in semifinale il grande Newcombe, che – detto per inciso – quella palla l’aveva vista buona, e conquistando il trofeo contro il poeta argentino Guillermo Vilas.

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