WTA Finals, le protagoniste: Keys è arrivata, ma non è ancora grande

Madison Keys si qualifica per la prima volta alle WTA Finals di Singapore, grazie alla continuità nei tornei diversi dagli Slam. Ma chi si ricorderà del suo 2016, tra cinque anni?


È da molto tempo che aspettiamo Madison Keys. Almeno dal 2013, quando iniziò l’anno battendo Lucie Safarova e Jie Zheng al torneo di Sydney e arrivò al terzo turno di uno Slam nella settimana successiva. Ora che la troviamo tra le migliori otto tenniste del mondo, però, ci viene un po’ da chiedersi cosa abbia fatto per meritarsi l’accesso alle WTA Finals di Singapore. È un giudizio superficiale e che è dovuto principalmente agli scarsi risultati che Keys ha ottenuto negli Slam, i tornei che si considerano per valutare lo spessore di un tennista. Madison è arrivata agli ottavi di ciascuno Slam, dimostrando ormai di essere molto solida contro le tenniste che le sono inferiori, eppure non è mai riuscita a qualificarsi ai quarti: agli Australian Open, torneo nel quale difendeva la semifinale, si fece battere da Shuai Zhang (l’avevate dimenticato, dite la verità), a Parigi non fece tanto meglio contro Kiki Bertens, altra grande sorpresa del torneo, mentre le sconfitte di Londra e New York sono più comprensibili, se si pensa quanto possa essere difficile per una tennista aggressiva come lei giocare contro dei muri come Halep e Wozniacki.

Non bisogna però dimenticare che una stagione non è fatta solo di Slam, fortunatamente, ed è negli altri tornei che Keys ha ottenuto più successi. Ha vinto un solo titolo, il secondo della sua carriera, sull’erba di Birmingham ma con quella vittoria si è anche assicurata la prima settimana in top 10. Poco prima, a maggio, era arrivata per la prima volta in finale in un Premier 5 (a Roma, battuta da Serena Williams), risultato che ha ottenuto anche sul cemento di Toronto qualche settimana più tardi, per poi perdere contro Simona Halep. Curiosamente, ha perso entrambe le partite con lo stesso punteggio: 7-6 6-3. Oltre a queste due finali, Keys ha raccolto altri buoni risultati (quarti a Miami e a Wuhan, semifinale a Pechino e a Linz) e alla fine l’aritmetica l’ha premiata, senza che si dovesse preoccupare di raccattare punti negli ultimi tornei della stagione, come invece è successo a Kuznetsova.

A conti fatti, insomma, il 2016 è stato l’anno migliore di Madison Keys, eppure nessuno sembra essersene accorto. Keys è la più giovane delle otto tenniste che si sono qualificate ed è anche l’unica a non aver giocato una finale Slam. Inoltre il 2016, al di là dei buoni risultati che l’hanno qualificata, è sembrato un anno di transizione per la tennista statunitense. Keys ha cambiato parecchi allenatori dopo essersi separata da Lindsay Davenport a fine 2015: ha iniziato con Mats Wilander, ha lavorato per un breve periodo con Jesse Levine, il suo ragazzo, per poi assumere ad aprile Thomas Högstedt, un allenatore molto esperto che ha lavorato con con alcune delle migliori tenniste della WTA, anche se con alterne fortune: Li Na, Maria Sharapova, Caroline Wozniacki, Simona Halep, Maria Sharapova ed Eugenie Bouchard.

A Singapore Keys non sarà tra le favorite, ma potrà essere la mina vagante del torneo se si presenterà in buone condizioni. Le condizioni indoor potrebbero favorire i suoi colpi molto potenti, in special modo il servizio, ma molto dipenderà dalle sue avversarie, visto che anche quest’anno Madison ha dimostrato di soffrire molto le tenniste che si sanno difendere bene, e a Singapore ce ne sono almeno tre (Kerber, Radwanska e Halep) che possono mandarla in cortocircuito. Visto il roseo futuro che le si prospetta, è probabile che in molti ci dimenticheremo del 2016 di Madison Keys, fatto più di continuità che di exploit, qualcosa che mal si incastra con l’idea che ci siamo fatti del suo tennis iperaggressivo e sempre alla ricerca del vincente che lascia immobile l’avversaria. Oppure, chi può dirlo, con un colpo di coda a Singapore, ricorderemo quest’anno come quello in cui Madison Keys è finalmente diventata la campionessa che tutti hanno pronosticato. Del resto era già da tre anni che la stavamo aspettando, eh.

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