Fed Cup / L'incredibile scalata dell'Olanda: dalla terza serie al "Mirakel van Moskou"

TENNIS – Di Diego Barbiani

Il successo storico dell’Olanda sulla Russia è stato subito rinominato in patria “Mirakel van Moskou”, facilmente traducibile in italiano con “il miracolo di Mosca”.

La nazionale orange al rientro nel World Group di Fed Cup dopo diciotto anni ha realizzato un’impresa d’altri tempi sconfiggendo la super-potenza russa, minata da qualche crepa all’interno ma comunque in grado di schierare come singolariste Svetlana Kuznetsova, n.17 del mondo (ex n.2 e due volte vincitrice di un torneo dello Slam) ed Ekaterina Makarova, n.31 del ranking ma ex top-10 e due volte semifinalista in un torneo dello Slam. Loro? In un periodo privo di grandi talenti hanno portato in trasferta nessuna giocatrice in top-100. Il volto più noto era Kiki Bertens, classe 1991, attualmente n.107 WTA ma in grado di sfiorare la top-40 nel 2013. In un’intervista alla tv sportiva olandese Ziggo Sport ha dichiarato: «Nessuno ci credeva, neppure noi probabilmente. Quando siamo partite per questo viaggio ci guardavamo ed ad alcune di noi veniva da ridere. Scherzavamo, sognavamo di regalare una gioia al nostro paese e già portare la Russia al quarto singolare ci avrebbe riempito d’orgoglio, ma vincere no, immaginate poi vincere per 3-0…». Lei e le sue compagne, però, hanno saputo costruire un’armonia invidiabile all’interno del team. Lo si vede dalle decine di foto sui rispettivi account social che le ritraggono insieme in giro per Mosca come quattro amiche molto legate. La logica del tennis come sport singolo viene messa da parte, ed il regista di tutto ciò è uno dei più famosi tennisti olandesi degli anni ’90, n.1 al mondo in doppio e n.18 in singolare, Paul Haarius. Nominato capitano della nazionale femminile nel 2014, è tutt’ora imbattuto dopo un’incredibile serie di otto vittorie consecutive cominciata un mese dopo la nomina: «Ho cercato di far capire alle mie giocatrici che nessuna deve considerarsi superiore all’altra, anche se io come capitano ho il dovere di prendere decisioni che possono favorire una a discapito dell’altra. Questo va accettato, perché oggi l’occasione può essere per una compagna, ma domani può arrivare il tuo momento. Quello che voglio è che le ragazze riescano a vivere al massimo un’esperienza che per me fu sempre molto emozionante come il poter giocare per il proprio paese». Ed è stato di parola, perché dal suo arrivo non c’è mai stata una vera giocatrice simbolo, ma si sono avvicendate in tre: oltre a Bertens, Richel Hogenkamp (fondamentale, oltre al match-record vinto contro Kuznetsova lo scorso weekend, nel 2014 per la promozione dal gruppo zonale Euro-africano con quattro vittorie su quattro singolari) ed Arantxa Rus, colei che lo scorso anno ha vinto tre singolari su quattro ed ha portato il punto decisivo sia contro la Slovacchia che contro l’Australia.

E’ una nazionale ancora relativamente giovane, la più “anziana” e titolata è Michaella ‘Misa’ Krajicek, sorella di Richard, ex n.4 del mondo e vincitore di Wimbledon nel 1996. Ha appena compiuto 27 anni (classe 1989) e lo scorso autunno è tornata a vincere un titolo dopo 9 anni di distanza. Una carriera piuttosto travagliata a causa di infortuni che ne hanno sempre rallentato la crescita, ma giocatrice di grande qualità, soprattutto dotata di un ottimo servizio. Fu n.30 al mondo nel 2008, l’anno dopo aver ottenuto i quarti di finale a Wimbledon. Ottima interprete del doppio, era assente durante il fine settimana di Mosca ma potrebbe tornare nel team per la semifinale contro la Francia a metà aprile. Qualcuno la ricorderà per l’episodio di due anni fa a S-Hertogenbosch, quando dopo il successo al primo turno contro Jana Cepelova ricevette la proposta di matrimonio da parte dello storico fidanzato, il doppista tedesco Martin Emmrich che entrò in campo, munito di microfono, a sua insaputa e le si inginocchiò davanti.

Rus (classe 1990) invece, oltre ad esser diventata la giocatrice-copertina della nazionale orange lo scorso anno, può vantare il successo prestigioso contro Kim Cljisters nell’ultimo Roland Garros disputato dalla belga o anche una vittoria contro Sam Stosur a Wimbledon l’anno in cui raggiunse il terzo turno (2012). Purtroppo per lei, però, dopo qualche bel risultato a cavallo tra il 2011 ed il 2012 è cominciato un periodo di enormi problemi ed in ranking in caduta che si era assestato (da 60-70 del mondo) a 170-180, ma che lo scorso anno ha subito un ulteriore crollo di altre 100 posizioni. Eppure, in Fed Cup, le sue difficoltà fino ad ora non si sono viste. Il perché è spiegato direttamente da lei: «Il 2015 è stato l’anno più difficile della mia carriera. E’ vero, in Fed Cup ho giocato sempre grandi partite, però poi appena lasciavo il team e mi ritrovavo a viaggiare da sola per i tornei tutti i miei problemi tornavano fuori. Gli unici risultati positivi sono state due finali in tornei da 15.000 e 25.000 dollari. Ero arrivata al punto di detestare l’idea di scendere in campo, succede questo quando ti alleni tanto e non si vedono risultati». Arantxa, sprofondata nel circuito ITF di medio-basso livello, non poteva più permettersi di viaggiare con un allenatore o un semplice sparring. «A metà 2014 terminai la collaborazione con Hugo Ekker. Non ero in un momento positivo della mia carriera, avevo poca fiducia in me stessa e nessuno accanto a dirmi dove sbagliavo e come fare a migliorare. Quando sono con il team di Fed Cup le cose migliorano sensibilmente, perché lì ci sono ottime persone. Ho battuto anche due top-50, ma ad esempio il giorno dopo la vittoria contro l’Australia mi sono trovata da qualche parte in un torneo ITF da sola, costretta a cavarmela da sola, senza la capacità per farlo. Da ottobre scorso poi ho trovato una persona, Timo van der Lecq, che mi accompagnerà durante tutto il 2016». La sua ultima vittoria a livello WTA risale a Bad Gastein 2013: «Spesso mi fermavo a pensare al passato, quelle belle sensazioni che dava un risultato come la vittoria su una leggenda come Cljisters. Durante l’off season ho cercato di lavorare soprattutto sulla mia mente per capire che serve fare un passo in avanti ed archiviare quei ricordi una volta per tutte».

Hogenkamp, infine, è la più “acerba” tra loro. Classe 1992, il suo best ranking risale ad un anno fa: n.125 al mondo il 2 febbraio 2015. Facile intuire come lo straordinario risultato contro Kuznetsova sia stato, al momento, l’highlights della carriera: «Porterò per sempre quel momento con me. Ho vinto una partita che passerà alla storia, l’ho vinta con la maglia arancione e la scritta ‘Olanda’ sulla schiena. Non potevo chiedere nulla di più». La prima volta che ha servito per il match, sul 5-4, era bloccata dalla tensione: «Non respiravo, giuro. Anche dopo aver vinto il primo punto non riuscivo a calmarmi». Per poi scivolare fino a match point sotto, salvato dopo diversi pallonetti difensivi alzati: «Lì mi sono detta di farla giocare male. Lei stava prendendo l’iniziativa ed io stavo per mandare tutto all’aria, ci sarei rimasta troppo male». Infine il nuovo momento in cui ha servito per il match: «Dopo il cambio campo sono andata al servizio un po’ più rilassata. Ho avvertito un po’ di tensione sul 40-0, ma credo di non essermi mai sentita come dopo l’ultimo punto».

Nel 2012 l’Olanda si salvò dalla retrocessione nella quarta serie della Fed Cup (il gruppo 2) dove sono presenti squadre come Egitto, Finlandia, Lituania, vincendo lo spareggio contro l’Estonia. Di quel gruppo faceva già parte Bertens, che ora vede la sua squadra tra le migliori quattro al mondo: «Se ci siamo rese conto di cosa abbiamo fatto? No. Davvero. Per fortuna abbiamo un paio di mesi prima della semifinale. Sarà un weekend speciale, comunque andrà, questo è sicuro». Anche perché ora ci credono. Bizzarro, ma «Mosca ha dimostrato che non dobbiamo sentirci inferiori a nessuno» dice Haarius, che rigetta ogni merito gli viene mosso in questi giorni da media nazionali e federazione: «Io posso solo dare suggerimenti e dialogare, ma l
e vere artefici di questo cammino straordinario sono le mie ragazze, che mi hanno sorpreso una volta di più. Quante nazionali possono dire di essere arrivate dove siamo noi, con un percorso fatto di sole vittorie da due anni, senza giocatrici tra le prime 100?». Mirakel van Moscou.

 

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