Challenge Round. Klizan, non solo sregolatezza

TENNIS – DI FABRIZIO FIDECARO – Martin Klizan ha conquistato la settimana scorsa a Rotterdam il primo titolo Atp 500 in carriera. Il discontinuo 26enne slovacco può ancora mirare a traguardi di un certo rilievo?

Ventisei anni non sono tanti. E meno che mai nel tennis di oggi, che vede parecchi over 30 ancora sulla breccia. Martin Klizan, dunque, è ancora in tempo per sfondare. Le doti le avrebbe: quando è on fire, sia pure a sprazzi, lo slovacco può diventare quasi ingiocabile, con quelle terribili fiondate di diritto mancino portate a raffica da qualunque zona del campo. Il suo difetto è la continuità: anche all’interno di uno stesso match, il tennista di Bratislava tende a perdersi e a ritrovarsi, ad andare fuori giri e improvvisamente rimettersi in carreggiata, a dare l’impressione di camminare sulle acque per poi affondare ingloriosamente, e senza una ragione apparente.

A Rotterdam, la settimana scorsa, si è visto tutto questo, anche se soprattutto in senso positivo. Martin è stato più volte sull’orlo dell’eliminazione: nei quarti ha annullato cinque matchpoint a Roberto Bautista Agut, in semi tre a Nicolas Mahut. Anche nella finale con Gael Monfils è partito a handicap, dovendo ancora una volta recuperare un set di svantaggio. Di botto, però, quando pareva ormai spacciato, ecco i ripetuti assalti all’arma bianca da fondo, i bolidi imprendibili, gli avversari increduli costretti alla resa.

Klizan è stato bravo ad approfittare dell’assenza di top ten per ottenere il primo centro in carriera in un Atp 500. Si tratta del suo quarto titolo complessivo nel circuito maggiore, in altrettanti finali disputate (San Pietroburgo 2012, Monaco 2014 e Casablanca 2015 i precedenti), segnale evidente di qualità che emergono nei momenti che contano.

Classe 1989, vincitore del Roland Garros junior 2006, Klizan ha fatto il suo ingresso nei primi cento del ranking nel settembre 2011. L’anno successivo è stato votato dai colleghi “Newcomer of the year”, dopo essere entrato fra i top 30 e aver raggiunto gli ottavi agli US Open (tuttora suo miglior piazzamento in uno Slam), con tanto di magnifica affermazione su Jo-Wilfried Tsonga. Nel 2013 un netto calo di rendimento lo ha confinato nuovamente oltre il 100esimo posto, mentre il 2014 lo ha visto risalire con prepotenza, fino a stabilire, nell’aprile del 2015, un career high di tutto rispetto in 24esima posizione. Poi una seconda metà di stagione poco convincente e un difficile inizio di 2016, con l’infortunio alla spalla sinistra patito a Sydney, prima della semifinale a Sofia e, soprattutto, del boom olandese.

Per lui, insomma, un continuo saliscendi, proprio come nelle corde dei suoi idoli di gioventù, Goran Ivanisevic e Marat Safin, entrambi a modo loro “genio e sregolatezza”. Anche Martin è capace di giocate in grado di trascinare il pubblico, ma spesso tende a esagerare e talvolta, con certi comportamenti sopra le righe, finisce per apparire irrispettoso nei confronti del rivale di giornata.

A ogni modo, quando è in stato di grazia, questo slovacco che parla cinque lingue e mezza (oltre alla sua, inglese, ceco, croato, polacco e un po’ di russo) sa divertire, e parecchio. Dopo Rotterdam occupa il 27esimo gradino della classifica, e, se trovasse la giusta quadratura del cerchio a livello mentale, potrebbe spingersi ben oltre, magari tra i primi dieci-quindici. In questo tennis affamato di nuovi volti, nel quale il ricambio generazionale sta clamorosamente venendo meno, sarebbe già una notizia.

 

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