Esclusiva / La promessa azzurra Paolini si racconta: «Nazionale? La speranza ora c'è»

TENNIS – Di Diego Barbiani

Dieci mesi in continuo crescendo, un ranking dimezzato rispetto ad inizio gennaio quando occupava la posizione n.650 del mondo… e la metà del tempo trascorsa a rimettersi in sesto da un infortunio. Questo è stato il 2014 di Jasmine Paolini, uno dei prospetti di maggiore interesse del panorama azzurro femminile che nella stagione in cui è diventata maggiorenne ha dovuto fare conoscenza con uno tra gli avversari più difficili per qualsiasi tennista: la sfortuna.

«Avevo iniziato alla grande in Australia» racconta, «poi però un brutto infortunio alla schiena mi ha bloccata per cinque mesi!». Il rientro è stato ricco di note positive ed ora nel mirino ci sono le prime 300 del mondo. Non sono mancate neppure vittorie di spessore contro avversarie ben più avanti di lei tra cui Francoise Abanda (n.180), l’altra grande speranza canadese oltre ad Eugenie Bouchard, a Toronto ed Anastasyia Vasylyeva, in quel momento n.167, nel corso del torneo (folle) di Telavi dove Jasmine ha giocato quarti, semifinale e finale in una giornata sola, perdendo al supertiebreak l’ultimo atto contro Daryia Kasatkina, recente vincitrice del Roland Garros junior.

Toscana di Castelnuovo di Garfagnana, in provincia di Lucca, racconta non solo della sua annata ma anche come ha vissuto i suoi primi anni di carriera tra circuito junior ed i primi tornei ITF, tappe fondamentale dove i giocatori sono chiamati ad una scelta che, nel bene o nel male, condizionerà la loro carriera futura: lanciarsi in questa avventura e lasciare gli studi o continuare a dividersi in più parti. Un’interessante chiacchierata a trecentosessanta gradi per scoprire meglio le sue sensazioni sul percorso che ha intrapreso, la fedeltà alla nazionale ed anche un parere sulla sorprendente convocazione della sua amica Alice Matteucci ed infine uno sguardo alla prossima stagione dove proverà a ritagliarsi un suo spazio nella vasta geografia del tennis mondiale.

Jasmine, se dovessi presentarti a qualcuno che non sa nulla di te, cosa diresti?

«Mi chiamo Jasmine Paolini, ho diciotto anni e gioco a tennis fin da quando ero piccola. Sono nata a Castelnuovo di Garfagnana e mi ritengo determinata, testarda, solare. Mi alleno a Tirrenia al centro tecnico federale dove sono seguita da Daniele Ceraudo da circa tre anni. Adoro ascoltare la musica ma mi piace anche leggere. Non lo faccio troppo spesso però ho dei periodi in cui ci sono sopra un bel po’, soprattutto su alcuni libri che mi consigliano. Per quello che riguarda invece passare del tempo con gli amici… Ce n’è poco, perché comunque tra allenamenti a Tirrenia e tornei siamo sempre in giro».

Per quello che riguarda il tennis, chi sono tra maschile e femminile i giocatori che ammiri di più?

«Nel maschile Federer, senza dubbio. Per quello che riguarda il femminile invece ti dico Serena Williams perché al momento è la più forte di tutte, ma mi piace tantissimo come gioca Roberta Vinci».

Sei fresca di ingresso tra le prime 350 del mondo ma hai già giocato spesso negli ultimi tre mesi contro giocatrici dentro le prime 300 e talvolta anche tra le prime 200. Il fatto oltretutto di aver già battuto alcune di queste può farti pensare di avere un livello di gioco più alto di quello che non dice il ranking?

«Sì, sicuramente. Purtroppo ho avuto sfortuna ad inizio anno, perché in Australia mi sentivo molto bene e stavo facendo già ottimi risultati poi però mi son dovuta fermare cinque mesi. Ho subito pensato a non perdere la pazienza ed a pensare al rientro, lavorando duramente per essere poi pronta quando sarebbe arrivato il momento. Da giugno in poi è stata una buona seconda parte di stagione, però ancora un po’ mi dispiace».

Nel tennis femminile gli exploit precoci delle giocatrici sono piuttosto frequenti ma  in Italia sembra quasi si preferisca una crescita progressiva. Come è stata, secondo te, la tua maturazione nel corso degli anni e quanto pensi, a grandi linee, di poter ancora crescere?

«Sono migliorata tanto, soprattutto quando sono entrata al centro di Tirrenia tre anni fa. Ho cominciato a giocare molti più tornei ed a lavorare come una che vuole provare ad essere una professionista. Prima queste possibilità non le avevo un po’ perché comunque avevo la scuola e poi perché il maestro del circolo doveva occuparsi anche della scuola tennis quindi era tutto più complicato. Se guardo indietro vedo che i miei progressi sono tanti, ma non penso proprio a lodarmi per questo: per fare il vero salto di qualità posso ancora migliorare tanto».

A proposito di scuola ed altre questioni: il tennis junior copre il periodo dell’adolescenza ed è lì che un giocatore deve decidere se buttarsi del tutto in questa avventura e provare a farla diventare un lavoro oppure dividersi in più ambiti. Per te come è stato? Hai avuto problemi?

«No, per me non c’è stata alcuna difficoltà. Non ricordo bene quando sia stato il momento esatto in cui ho deciso di volermi dedicare in tutto e per tutto al tennis però il mio sogno è stato quello fin dai 10-12 anni. Non è comunque la stessa cosa rispetto ad ora: a quell’età ero molto più lontana e ci credevo forse di meno, magari era un obiettivo ancora troppo lontano per chiudermi già altre soluzioni. Ora invece ci credo e farò l’impossibile per raggiungerlo».

Hai già notato qualche differenza tra i tornei ITF junior rispetto a quelli “senior”?

«Mah… Sono sincera: tra un torneo Slam a livello junior ed un 10.000 dollari, il livello è molto più alto nel primo caso. In quei tornei, secondo me, il livello è altissimo e può anche valere quanto un torneo da 25.000 dollari o da 50.000, solo che c’è meno continuità nei tornei junior. Non è comunque facile: le ragazze più piccole hanno subito una gran voglia di arrivare, di essere a contatto con le più forti e “dar fastidio” diciamo per tutta la partita, ogni punto mentre nei tornei Itf capita a volte che alcune giocatrici in alcuni momenti della partita ti danno più fiato e mollano un attimo la pressione su di te, soprattutto quando vanno in difficoltà. Però la vera difficoltà qui è che sono quasi tutte giocatrici con esperienza, soprattutto nei momenti importanti sanno come fare e cosa fare e non è facile».

Nel circuito Wta c’è la possibilità di chiamare il proprio allenatore al cambio campo. Pensi forse che possa essere più utile una regola del genere a livello Itf o anche nei tornei junior?

«Bella domanda! (ride, ndr) Forse sarebbe più utile nei tornei junior, però è anche vero che forse un tennista junior ha la possibilità di crescere maggiormente senza l’aiuto del coach, anche se nei tornei junior spesso capita che l’allenatore gli stia vicino a dare consigli, questo perché comunque anche l’arbitro è meno attento e lo rende possibile. In Wta in effetti sono già tutte professioniste, quindi dovrebbero essere in grado di fare da sole. Però è una regola. Giusta o sbagliata che sia vale per tutte, quindi se possono fanno bene a sfruttarla».

Con la nazionale hai disputato per due edizioni la Summer Cup, un torneo che si tiene tra fine Luglio ed inizio Agosto in contemporanea con alcuni eventi Itf utili a loro volta per prendere punti per il ranking Wta. Il giorno dopo la tua vittoria a Viserba sei corsa in stazione per prendere il treno e raggiungere le tue compagne. Hai deciso spontaneamente di dare priorità alla nazionale?

«Secondo me la nazionale è qualcosa di molto importante. Per me, ma anche per le mie compagne, è molto bello avere l’opportunità di giocare per la propria nazione. Il contesto della Summer Cup è questo: se vinci la competizione ti arrivano dei punti per il ranking junior. Ovvio che io, non giocando più a live
llo junior, di quei punti non me ne facevo niente. Giocare in nazionale, però, è un’esperienza da fare, almeno secondo me. Essere scelti per rappresentare il proprio paese non può che farti onore: non è una cosa che capita a tutti, quindi è giusto esserci».

Non ti ha pesato.

«No, assolutamente. Diciamo magari che sarebbe più giusto forse da parte dell’Itf non creare questa situazione visto che è un torneo a cui partecipano tante nazionali, però alla fine ti porta via una settimana o due all’anno. Non toglie troppo tempo».

Quando a Febbraio la tua amica Alice Matteucci è stata convocata per la Fed Cup come hai reagito? Ci furono parole forti di alcune giocatrici che in sostanza lamentavano il fatto di non essere state chiamate nonostante fossero molto più avanti di lei nel ranking. Può essere però un segnale del capitano per far intendere che siete tutte sotto osservazione?

«Fu una scelta diversa. In generale un po’ di sorpresa sicuramente c’è stata, non posso dir di no. Anche io sono rimasta molto sorpresa. Non so il motivo, però sicuramente l’ho visto come uno stimolo perché convocando la Matteucci è come se per la prima volta abbia fatto capire di guardare anche a quelle più giovani, quindi non solo alle più forti in ordine di classifica. Ovvio quindi prenderla come uno stimolo in più. Ora probabilmente tutte quante, non solo io, crediamo di più alla possibilità che una convocazione di questo tipo possa nuovamente accadere. Prima ovviamente erano state convocate le migliori, le più forti, e non c’era nemmeno la speranza mentre con quella convocazione ora questa c’è».

Ora sei in Nord-America per una serie di tornei, nel frattempo in Italia è scoppiato il caso di partite truccate ed ha fatto un gran rumore perché vede immischiati (chi più, chi meno) diversi giocatori azzurri. Nei tre anni trascorsi a Tirrenia hai avuto modo di conoscere direttamente alcuni di loro?

«Poco, molto poco. Ho girato da Florence a Macoon a Toronto e per finire sono a Captiva Island e di notizie ne arrivavano ben poche. E’ difficile per me prendere una posizione, non conosco nessuno di queste persone e l’ultima cosa che voglio fare è parlare di qualcuno con cui non ho mai avuto contatti, specialmente in una situazione delicata come sembra essere questo polverone. Certo però che da giocatrice non è per niente bello sentire che il proprio sport è sotto inchiesta per vicende simili».

Pensi che il prossimo anno ci sarà modo di provare qualche tabellone di qualificazione nei Wta International?

«Assolutamente, il prossimo anno ci proveremo a giocare qualche qualificazione ai tornei Wta. Abbiamo visto, io ed il mio allenatore, che nei paesi asiatici il livello è abbastanza basso e con la classifica che ho entrerei tranquillamente. Quindi sicuramente ci proveremo. Quest anno ormai è andata così, son stata ferma e la classifica non me lo permetteva, ma è anche vero che non sapevamo bene il livello di alcuni tabellone di qualificazione in questi paesi asiatici e quindi, dopo aver dato un’occhiata a questi tabelloni, abbiamo deciso che sicuramente il prossimo anno faremo una trasferta asiatica. Almeno, lo spero!».

(l’intervista integrale sarà pubblicata sul numero di Dicembre della rivista MatchPoint)

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