Challenge Round. Ferrer numero 3, un premio alla carriera

di FABRIZIO FIDECARO –

Nello stilare un bilancio della stagione appena conclusa, oltre alle imprese dei dominatori Nadal e Djokovic, tornano subito alla mente le performance dei vari Murray, Federer, Berdych, Stepanek, Del Potro, Wawrinka. Eppure il numero 3 nel ranking di fine anno è lui, David Ferrer…

Rafael Nadal e Novak Djokovic mattatori assoluti, nessun dubbio al riguardo. Per il maiorchino, in vetta al ranking di fine anno per la terza volta in carriera, un rientro incredibile, con due Slam e cinque Master 1000. Il serbo, unico a contrastarlo, è stato grandissimo specie a inizio (Australian Open) e a fine stagione (Masters). Dietro di loro, però, non tutti sono stati a guardare. Pensiamo a Andy Murray, per il quale basta una sola parola: Wimbledon. O a Tomas Berdych e Radek Stepanek, trionfatori per la seconda volta di fila in Coppa Davis. E poi Roger Federer, in evidente calo, ma sempre il numero uno quando si tratta di deliziare il pubblico. O Juan Martin Del Potro, rientrato con merito fra i top five dopo le fatiche seguite alla stagione persa per l’infortunio al polso. Per non dire di Stanislas Wawrinka, per la prima volta al Masters, e con un tennis vario e piacevolissimo. Si potrebbero aggiungere altri nomi, come Gasquet, Raonic, Haas e, magari, allargando ulteriormente gli orizzonti, il nostro Fognini con il suo luglio ruggente. Manca qualcuno? Sì. Nell’elenco dei tennisti che hanno caratterizzato questo 2013 non compare ancora colui che lo ha concluso addirittura al terzo posto del ranking mondiale: David Ferrer.

È ormai un classico: il 31enne di Javea viene lodato per la caparbietà e la capacità di lottare, ma, certo, quando si parla di bel tennis e si riepilogano gli highlight di una stagione, è difficile che venga alla mente il suo nome. Sono ben pochi quelli che si entusiasmano vedendo all’opera David: è chiaro che il talento espresso da Federer (o, in misura un po’ minore, da Gasquet o Wawrinka) è qualcosa che si percepisce all’istante, che dà un alone ben diverso a ogni gesto, che a tratti sembra mettere in contatto con l’infinito.

Eppure per Ferrer parlano i risultati, che rendono incontestabile la sua efficacia. Per il quarto anno consecutivo (quinto complessivo) ha chiuso la stagione fra i top ten, e, dopo essere stato numero 5 nel 2007 e nel 2011-12, ha ulteriormente innalzato il proprio standard, portandosi alle spalle dei soli Rafa e Nole e mettendosi dietro avversari assai più considerati. Dall’avvento dell’Atp, solo Nadal, fra gli spagnoli, ha fatto meglio nello year end ranking: come David, al terzo posto, si erano spinti giusto Alex Corretja nel 1998 e Juan Carlos Ferrero nel 2003.

Nella fase conclusiva del 2012 Ferrer aveva conquistato a Parigi Bercy il suo primo titolo Master 1000; nel 2013, seppure aiutato da un tabellone che ha posto nell’altra metà sia Nadal sia Djokovic, ha raggiunto al Roland Garros la prima finale in una prova dello Slam. Solo due i centri nel circuito maggiore, a gennaio Auckland (su Kohlschreiber) e a febbraio Buenos Aires (su Wawrinka). Ben sette le finali perse, a testimonianza comunque di una notevolissima continuità di rendimento: oltre a quella di Porte d’Auteuil con Nadal, nei Master 1000 di Miami (con Murray) e Bercy (Djokovic) e poi ad Acapulco (Nadal), Oeiras (Wawrinka), Stoccolma (Dimitrov) e Valencia (Youzhny). Buono il rendimento nei Major: al match clou parigino si sono aggiunte la semifinale agli Australian Open (sconfitto da Djokovic) e i quarti a Wimbledon (Del Potro) e agli US Open (Gasquet). Negativo solo il rendimento con gli altri top ten, con appena tre affermazioni in sedici scontri diretti, curiosamente tutte a Parigi (Tsonga al Roland Garros, Berdych e Nadal a Bercy).

A ogni modo, una consistenza notevole, con 60 match vinti sugli 84 disputati, un bilancio reso un po’ meno brillante dalle tre sconfitte patite nel round robin delle World Tour Finals di Londra, cui è giunto in palese affanno (nel 2012, da questo punto di vista aveva fatto meglio, con 76 successi su 91 e la bellezza di sette titoli). È chiaro che, senza l’infortunio che lo ha obbligato a terminare in anticipo i suoi impegni, Murray gli sarebbe rimasto davanti (anche così gli è dietro di appena dieci punti, 5790 contro 5800), ma questa salita sul podio nella classifica mondiale più importante, quella di fine anno, può essere considerata per David come un meritato premio alla carriera. Il giusto riconoscimento, insomma per un giocatore che, senza clamore, si è costruito, mattoncino dopo mattoncino, un curriculum di indubbio rilievo: restando sempre all’ombra dei campioni più amati e spettacolari, ma lottando su ogni singolo punto, e per questo guadagnandosi la stima degli appassionati.

 

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