L'eterna diatriba sulla meritocrazia tennistica

Si parla da tempo della possibilità di far giocare i cinque set anche alle donne, al fine di parificare  “le fatiche in campo” di tennisti e tenniste dato  l’equità dei prize money.  Ma tutto questo è necessario? E  quali conseguenze porterebbe?

di LORENZA PAOLUCCI

La lotta sulla parità di diritti tra uomini e donne è cominciata nel 1946 quando vi fu la prima rivoluzione rosa che portò il gentil sesso a conquistare, alla fine del secondo conflitto mondiale, il sacro diritto di voto.
Da allora le donne hanno cercato di rivendicare i propri diritti in qualsiasi ambito della scala sociale e lo sport non è stato certo risparmiato. Sono persistenti infatti le lamentele femministe per quanto riguarda la differenza di guadagno in molte discipline sportive, come golf e basket, che vedono ancora gli uomini godere di una ricompensa maggiore rispetto alle colleghe. Con quale logica poi, dato che sacrificio e fatica non sono certo minori, anzi, tante sono le storie di donne che si dividono nel ruolo di mamme, mogli e campionesse. Il tennis ci ha messo del tempo ma finalmente ha soddisfatto le insistenti richieste delle racchette in gonnella di essere trattate al pari di quelle in calzoncini. I tornei dello Slam ora riservano a tutti un trattamento monetario equo. I primi a parificare il prize money furono gli americani, poi fu la volta degli australiani, più in là dei francesi .  Infine anche Wimbledon, era il 2007, si decise  ad adeguarsi, nonostante i sudditi di sua maestà non vedevano di buon grado la cosa, rivendicando la maggiore fatica che gli uomini, giocando al meglio dei cinque set, riversavano sulla prestigiosa erba inglese. Un paradosso se si pensa che l’All England Club fu il primo ad aprire i suoi preziosi cancelli alla partecipazione femminile, correva l’anno 1884.
Anche il più illustre rappresentate del tennis britannico Andy Murray la pensa allo stesso modo, avendo detto più volte che anche le colleghe dovrebbero giocare non meno di tre set se vogliono pretendere la medesima ricompensa monetaria dei colleghi uomini. Come lui la pensano anche Gills Simon, Nikolay Davidenko e tanti altri.
Ora negli ultimi mesi si è parlato spesso della possibilità che anche le donne giochino al meglio dei cinque set nei quattro tornei dello Slam, per giustificare la parità del prize money che tanto si è faticato ad ottenere ma che risulta, appunto, indigesto a molti esponenti del sesso forte.
Secondo il presidente della WTA Stacey Allaster le ragazze sarebbero pronte ad affrontare i cinque set, dato che anche ai tempi di Steffi Graf e  Martina Navratilova vi erano finali che si giocavano su questa lunghezza. I tempi però sono cambiati, oggi si giocano molti più tornei ed allungare i match disputati nei Major significherebbe gravare ulteriormente su una stagione già ricca di appuntamenti. Anche se le dirette interessate non ne sembrano spaventate, persino la nostra Sara Errani, che certo non spicca per la sua potenza fisica, si è detta favorevole a giocare i cinque set.
I dubbi però a riguardo restano  tanti. Prima cosa l’impatto sulla programmazione dei match, che naturalmente si allungherebbe dato la durata maggiore anche degli incontri femminili e che potrebbe aggravarsi in caso di ritardi per mal tempo. Bisogna pensare poi anche  ai palinsesti Tv che già faticano ad offrire una copertura completa per gli Slam, proprio per il fatto che il tennis è uno sport dalla durata imprevedibile.
Un match più lungo poi non è detto sia sempre più bello, anzi tutt’altro. Spesso i primi incontri nei tornei dello Slam, che vedono opposti i top player a tennisti di bassa classifica, sono sifde a senso unico e quindi non  particolarmente esaltanti.
Le donne poi non hanno la stessa resistenza fisica degli uomini, cinque set potrebbero anche giocarli ma con quale qualità di gioco? Certo non con la stessa dei colleghi che anche nelle sfide più lunghe riescono a mantenere un buon livello. Basta vedere qualche match di femminile per notare che, superate le due ore di gioco, le ragazze cominciano a tirare il fiato. Allungare ulteriormente le partite porterebbe ad un drastico ridimensionamento dello spettacolo offerto in campo dal gentil sesso.
Ci si chiede allora se sia così necessario trasferire la formula dei cinque set anche nel circuito femminile, sembri solo negli Slam, perchè se si compredesse anche la Fed Cup, è la volta buona che la competizione a squadre non la giochino più nemmeno le più fedeli all’amor  di patrio.
Ma se proprio vogliamo guardare alla proporzione delle fatiche espresse in campo non è forse vero che le ragazze si spremono tanto quanto i ragazzi, se non di più, anche giocando al meglio dei tre set, dato la minore restistenza fisica di un corpo femminile rispetto ad uno maschile? E di conseguenza giocando al meglio dei cinque, lo sforzo non sarebbe maggiore di quello degli uomini?
In conclusione, siamo sicuri che portando le donne a giocare almeno tre set si raggiungerà quella parità meritocratica che si cerca da anni nella guerra dei sessi, o ci si ritroverà al punto di partenza?

Dalla stessa categoria