Fed Cup: Italia, basta illusioni

Il weekend di Biel ha portato all'Italia la quinta sconfitta negli ultimi 7 incontri di Fed Cup e il futuro è tutt'altro che roseo. Tante le nazionali che al momento ci sono superiori e al sorteggio play-out la speranza sarà di pescare il male minore.

Anche a mente fredda, la prima parola che può venire fuori dalla sconfitta della nazionale italiana a Biel, in Fed Cup, rimane: “amarezza”. La seconda, ed è quella su cui non vorremmo mai fermarci, è: “rassegnazione”. Chiariamoci: non c’è rassegnazione per una sconfitta, non è un qualcosa che si rifa a ieri e ieri soltanto, ma è tutto un processo che è ormai in corso da un paio d’anni.

In Svizzera l’Italia ha perso il suo quinto tie nelle ultime 7 sfide, riuscendo a battere soltanto la derelitta nazionale di Taipei, rovinata già all’interno da lotte tra Su Wei Hsieh e le sorelle Chan, esperte doppiste, che l’hanno portata ad arrivare a Barletta con nessuna top-300, o quasi (la migliore era numero 299 al mondo), e la Spagna a Chieti.

C’è amarezza, perché se è vero che la superficie scelta dalle nostre rivali ora era il cemento indoor, è anche vero che non possiamo appellarci ad alcun alibi: abbiamo fatto carte false per riallacciare i rapporti con Camila Giorgi, con una mossa corretta e piuttosto teatralizzata andandola a intervistare a casa e cambiando i giudizi “da così a così”, ed è anche vero che lei in indoor si esalta. O almeno questo è quello che ci è stato detto. Malgrado sia evidente come al chiuso Camila riesca a trarre, potenzialmente, il meglio del suo tennis iper aggressivo, malgrado in tanti abbiano visto in lei una maturazione tennistica, i risultati non confortano ancora la tesi: nell’anno delle 28 candeline, l’unico titolo è quello di Linz dello scorso autunno, conquistato dopo un cammino in cui ha affrontato l’unica top-50 al primo match. In mezzo abbiamo 4 finali, un paio di semifinali e dimostrazioni che in queste circostanze può fare un bel percorso, ma dove ancora nei momenti chiave rimane tutto fuorché impeccabile.

È micidiale, Camila, e rimane onestamente un piacere quando tutte le componenti del suo gioco si combinano. È la nostra giocatrice più pericolosa, non tanto per quello che dice la classifica ancora piuttosto viziata dai quarti di finale di Wimbledon (esaltanti, ma in un cammino che poteva finire al terzo turno quando fronteggiò match point: tolti quei 300 punti di differenza sarebbe numero 34, senza ancora aver sfondato il muro delle prime 30) ma perché può tirare fuori il colpo che lascia tutti meravigliati. Il problema è che c’è ancora una discontinuità enorme anche all’interno dello stesso punto. Sabato, contro Golubic, aveva cominciato splendidamente salvo cominciare a incartarsi sul 3-0 0-15. Quel punto è molto simbolico: la svizzera chiusa all’angolo del dritto, Camila sempre in spinta verso gli ultimi centimetri di campo e quando Golubic è pronta alla resa lei butta il rovescio dello 0-30 oltre il corridoio, con il naso sopra al nastro. Malgrado i 28 anni da compiere a fine 2019, malgrado quel po’ di maturità in più che l’ha riportata in posizioni di classifica un po’ più nobili, la sua rimane una vita (molto) spericolata, come canterebbe Vasco.

È mancata Giorgi, è mancata anche Sara Errani su cui ci sarebbero un po’ di attenuanti in più visto il rientro dopo gli 8 mesi di stop per squalifica. Al di là della sua vicenda personale, dispiace molto per come si sia trovata a scendere in campo un po’ per acclamazione e un po’ perché oltre a lei non avevamo giocatrici che potessero sostituirla e darle modo di fare da simbolo della squadra, per esperienza e vittorie, e senza immolarla nel ruolo di parafulmine di tutti i mali. Non è che abbiamo perso “perché Sara era ferma da 8 mesi”, abbiamo perso perché sono 13 anni che non riusciamo a sfornare una singolarista di livello diversa dai soliti nomi, da quelli che ci hanno portato gioia e titoli, ci hanno salvato quando era il caso di farlo, che ora ci mancano tanto e che Giorgi ancora non può sentirsi inclusa, al di là della prestazione dell’ultimo fine settimana. Errani è nell’anno dei 32, una carriera spesa a prodigarsi in un sacrificio encomiabile, e ripensare al periodo tra il 2011 e il 2014 il primo aggettivo che viene in mente in molte sue partite è “insuperabile”. Periodi interi, lunghi, dove Sara era una giocatrice insuperabile e per farle punto c’era bisogno o di essere nettamente superiori (cosa di poche, pochissime) o di faticare, faticare, faticare. La Sara attuale, per forza di cose, è una versione in tono minore che anche prima della squalifica viveva momenti non troppo brillanti con anche qualche noia fisica al polpaccio. Nulla da dire sull’abnegazione e sulla possibilità di rientrare ancora una volta in top-100 (è vero che è soltanto 123, ma tra due settimane le usciranno 170 punti dal WTA 125k di Indian Wells, e rischia il crollo ai margini della top-200), ma per quello che riguarda la competizione a squadre al momento, con l’unica possibilità che è quella di rimanere nel World Group 2, sono tantissime le nazionali messe meglio di noi. Molte si trovano al momento anche nei gironi zonali.

Non possiamo mentire a noi stessi, e forse dovremmo usare il modo più brusco: anche se ci sarà una riforma della Fed Cup, anche se verrà introdotto un World Group unico, possiamo vincere la coppa? No. Possiamo pensare a un buon piazzamento? Cambiamo il verbo con “sperare”. Dobbiamo pensare a salvarci anno dopo anno? Sì, e sarà probabilmente sempre peggio. In questa visione pessimistica, purtroppo, torna il fatto che non ci sia alcuna certezza per il futuro: non ci sono ricambi. Ed è così da anni, da quando nel 2015 perdemmo contro la Francia a Genova con la rottura del rapporto tra Errani e Roberta Vinci. Abbiamo provato a far partire un nuovo ciclo, chiamando ragazze più giovani, ma dopo 3 anni solo Deborah Chiesa ha fatto intravedere qualcosa, in un pomeriggio trionfale ma al momento rimasto un po’ caso isolato. Forse dovremmo attendere ancora, perché la nostra storia anche solo recente parla di giocatrici che maturano non prima dei 25 anni, ma allora dobbiamo per forza di cose cambiare gli obiettivi. Si era parlato di poter giocare abbastanza alla pari questa sfida contro la Svizzera, siamo usciti con un 3-1 fin troppo netto, alleviato in maniera tiepida da un doppio a quel punto inutile. Belinda Bencic, tutt’altro che in un momento felice nel circuito WTA, ha lasciato 6 game a Giorgi e 7 a Errani. Timea Bacsinszky, la più in forma della squadra, lasciata in panchina.

Nel World Group ci sono squadre molto attrezzate. La Bielorussia allo stato attuale può diventare una squadra quasi imbattibile sia in casa che fuori, gli Stati Uniti e la Repubblica Ceca malgrado gli scivoloni contro l’Australia e la Romania hanno il parco giocatrici più vasto. La nazionale down-under ha quel tesoro che risponde al nome di Ashleigh Barty, le rumene hanno Simona Halep e un doppio che dopo ieri deve essere temuto e rispettato ovunque. La Francia ha riabbracciato Caroline Garcia, il Belgio potrà navigare tra World Group 1 e spareggi. E stanno venendo su forte la Lettonia (neanche 2 milioni di abitanti, ma 2 superstar), il Canada dell’arrembante Bianca Andreescu, la Spagna che tutto sommato va sempre considerata. Agli spareggi con noi c’è il Giappone che ha il jolly di Naomi Osaka, l’Olanda che ha Kiki Bertens e un doppio di valore, la Gran Bretagna, la grande squadra russa ferita nell’orgoglio dopo la retrocessione in terza serie. Ora dobbiamo guardare alla giornata di martedì quando, nella mattinata, ci sarà il sorteggio per scoprire contro chi tra Olanda (sorteggio), Russia (in trasferta), Giappone (sorteggio) e Slovacchia (in trasferta) giocheremo per evitare il Group 1, un labirinto di 4 gironi con 4 partite (2 singolari e un doppio) potenziali in 4 giorni per arrivare agli spareggi promozione. Sarebbe una disfatta, ma al momento purtroppo siamo questi, e in una fase dove non c’è più tanta differenza tra una squadra del World Group 1 e una del Group 1 (l’Australia, in semifinale, ha una top-40; l’Ucraina, nel Group 1, ne ha 3, compresa una top-10) ci sarà molto probabilmente da soffrire.

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