Murray, l’umano che sapeva battere i giganti

Sono tante le ragioni per cui rammaricarsi del ritiro di Andy Murray, ma quando la carriera di un campione finisce, bisogna anche ringraziarlo per quanto ci ha dato.

Probabilmente aveva ragione Noam Chomsky, in una conferenza tenuta circa vent’anni fa, quando spiegò al suo uditorio che spendiamo troppo tempo ed energie a discutere di sport e che se mettessimo la stessa attenzione e passione nel seguire argomenti più seri sarebbe un bene per tutti. Aveva ragione si, se si pensa a tutto il tempo speso a discutere di lana caprina su un rigore netto o presunto, a determinare se Federer sia il GOAT o se avrebbe vinto più volte contro Nadal attaccandolo in modo diverso, non si può che pensare che  avesse ragione. Perché lo sport più che un argomento, è un’emozione, è adrenalina, è esempio, è un po’ come la musica, un qualcosa che le parole costringono in qualcosa di più piccolo di quel che è, mentre, nella sua immediatezza, spesso è una bellissima metafora della vita, e la sua legge ti insegna a viverla.

Quindi, quando oggi Andy Murray, in lacrime che, come bene ha detto il nostro Roberto Salerno, erano più una sua emozione privata che pubblica, ha annunciato il suo probabilissimo ritiro, agli Australian Open o tra pochi mesi, quello che avremmo dovuto fare (molti lo avranno fatto, non si dubita) avrebbe dovuto essere semplicemente chiudere gli occhi e ripensare alle emozioni che, a noi che non giochiamo se non su un campo di periferia, ha saputo trasmetterci, senza parole o altri filtri, dai campi di tutto il mondo per quattordici anni, e pensare grazie. Perché sono quelle emozioni che ci tengono incollati alla televisione o su un seggiolino di plastica, e sono loro che ci fanno amare lo sport e ci comunicano quanto detto sopra.

Grazie Andy, perché è tutto vero, dalla tua spiccata intelligenza fuori dal campo, al fatto che dei cosiddetti Fab Four tu sia stato di gran lunga il meno vincente, che tu abbia rotto una maledizione di settantasette anni per i britannici a Wimbledon, alle battaglie per la parità di genere, di cui tutti oggi hanno parlato, ma grazie, semplicemente per il tennis, per quell’infinita serie di colpi geniali di cui i canali video internet sono pieni, a testimonianza del tuo infinito talento. Grazie per quella notte di settembre 2012 in cui, sempre e solo con la tua racchetta, insegnasti a tutti che se non ci si arrende, si può vincere anche contro i giganti.

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