WTA Finals, Stubbs: “Pliskova ama questo campo. Voglio tirar fuori il meglio da lei”

A Singapore parlano gli allenatori - Jiri Vanek: "Il segreto di Petra Kvitova? È sempre positiva". Andrew Bettles: "Elina Svitolina sta meglio, è subito tornata ad allenarsi". Rennae Stubbs: "Adoro Karolina Pliskova, non mi sarei messa in questa avventura se non fosse stata con lei".

RENNAE STUBBS (allenatrice Karolina Pliskova)

Dopo il match di ieri Karolina ti ha definito la persona più positiva che conosca per la tua abilità di tenerla concentrata durante le partite. È un ruolo questo che hai ormai fatto tuo? Che cosa ti ha reso più felice dei suoi progressi qui?
Essere qui, prima cosa. Sono state cinque, sei settimane lunghissime. La vittoria a Tokyo è stata pesantissima per farle capire che potesse farcela a essere qui. Abbiamo fatto avanti e indietro tra Cina e Mosca. Nessuno di noi sapeva come avrebbe reagito mentalmente e fisicamente a questo lungo periodo di stress. Invece ero molto felice durante il warm up: l’ho vista veramente tosta e pronta. Lei è alta e smilza, ci mette un po’ a ingranare. Ieri invece era completamente nel match e ho pensato “ok, ci siamo”. Rivedevo la giocatrice di un anno fa. Ha lavorato duramente ieri: 10 palle break, e tutte annullate. Alle volte lei tende a essere troppo negativa, vede il bicchiere mezzo vuoto. Ieri invece ha continuato a forzare, soprattutto nell’ultimo game. A lei poi questo campo piace.

Ti ha detto qualcosa se sia più veloce o meno?
Forse un po’ più veloce, ma credimi: dopo che per 5 settimane ha giocato su campi sempre diversi ormai non è che sappia più granché su quale sia più veloce o più lento. Lei però è contenta di poter colpire una palla che le piace. In Cina ci sono palle Head che lei sente poco, mentre qui ci sono le Wilson e volano un po’ di più, quindi per il suo servizio sono meglio. Questo campo fa valere tanto i vari effetti: lo spin salta, lo slice rimane basso, la palla piatta va incontro all’altra più velocemente.

Hai spesso tanti appunti con te quando scendi in campo, è facile capire cosa dire in così poco tempo a disposizione?
È un bilanciamento di cose, hai solo 90 secondi per essere efficace. Non è per nulla facile capire cosa dire in quel momento, capire soprattutto che cosa l’altra vuole sentirsi dire. Anche ieri quando sono uscita dal campo la seconda volta ho pensato “ho dimenticato di dirle di coprire bene l’angolo sull’incrociato”. Kaja ogni tanto è piuttosto negativa, e lì devo reagire in base a come lei si comporta. Ieri mi ha detto che non sentiva bene la palla, le ho risposto “stai scherzando?”. Dovevo pensare maggiormente a riportarla sulla giusta strada. Lo scorso anno stava giocando contro Venus e aveva vinto il primo set 6-2. Mi ha chiamato in campo e mi ha detto che non stava servendo bene, ma quello che volevamo fare era più direzionare bene le seconde. Mi diceva “che cosa ha che non va il mio servizio?”. Le dicevo “tu non stai servendo in maniera eccezionale, ma stai facendo quello che ci siamo imposti di fare e hai vinto il set.

Karolina ha detto di te che sei la persona più positiva che conosca. Tra voi due c’è un’ottima interazione, che cosa ti piace di lei come tennista e come persona?
Lei è una gioia averla accanto. Lei è una spugna: qualsiasi cosa che dico la assorbe, la prova. Qualsiasi cosa che le dico di fare la fa. Non ha mai ribattuto, ne alzato lo sguardo. C’è stato un caso a Pechino dove è stata forse un po’ dura. Le avevo detto di coprire un colpo durante l’allenamento, lei lo ha fatto due volte e poi è andata dall’altra parte. A quel punto si è girata altrove e ha alzato il pollice. Io ho riso, mi sono sentita veramente una coach che si faceva rispettare. Lei comunque è un’ottima ragazza, io mi diverto con lei e voglio provare a renderla migliore. Non ho ego, voglio proprio renderla una giocatrice migliore, nel miglior modo possibile. Lei è bravissima persona, e in questo periodo lei e Kiki (Bertens, nda) si sono rispettate tantissimo nonostante tra le due c’era in ballo quello che sembrava essere l’ultimo posto libero per Singapore. La adoro, e non mi sarei mai messa in questa avventura se non avessi pensato questo.

JIRI VANEK (allenatore Petra Kvitova)

Che problema pensi ci sia stato contro Svitolina?
Penso che Svitolina abbia giocato un gran match. Non ha sbagliato nulla, zero. Così per Petra era molto difficile. Sul 3-2 per lei nel primo set, con Svitolina al servizio, ho pensato che quel game potesse rappresentare la chiave della partita e se l’avesse brekkata la partita sarebbe stata completamente diversa. Ma è un “forse”. Noi non possiamo ragionare su questo. Nel secondo set poi ha avuto chance, i primi tre game in risposta sempre 0-30 ma non ha mai concretizzato. Spero domani possa andare diversamente. Lei è molto positiva, questo per me è importante.

Che atteggiamento usi quando scendi in campo per parlarle? Quante informazioni tattiche le dai?  O cerchi più di di tenerla con un modo positivo?
Con Petra si tratta sempre di cercare di spingerla e di essere positiva, non pensando a cosa è successo. Lei ogni tanto è in difficoltà non perché non creda in se stessa, ma perché non pensa di star facendo le scelte giuste. Io cerco più che altro di spingerla, incitarla, dirle di sorridere e di divertirsi a giocare a tennis perché dopo tutto quello che le è accaduto e quanto abbia recuperato, e quanto stia ancora facendo deve pensare davvero a godersi il tennis, godersi il tennis, godersi il tennis.

Petra Kvitova era in conferenza stampa con una t-shirt che diceva “POJD! Never give up”, la stessa che tutto il vostro team indossava. Chi ha avuto l’idea?
Penso il preparatore atletico, perché prima del match è venuto nello spogliatoio e ci ha detto “ehi, guardate, guardate cosa ho portato”. Mi ha dato la maglietta e mi ha detto che dobbiamo indossarla tutti, compresi i suoi genitori, e che Petra già l’aveva. Già prima, quando era rientrata dal problema alla mano, per celebrare il suo rientro avevamo a ogni torneo Slam una maglietta dal diverso colore con la scritta “POJD”, perché è il suo segno caratteristico. Quando vince un bel punto, lei esclama “POJD”. È un nostro modo per mostrarle quanto siamo qui a supportarla.

Nella discussione sull’utilità del coaching da che parte stai?
Nel mio caso penso che l’intervento del coach in campo sia un aiuto per Petra. Ma per il tennis in generale è un argomento difficile. È uno sport molto grande ed è l’unico dove tu non possa dare consigli alla giocatrice. Così ti ritrovi con un solo minuto a disposizione e non è abbastanza per tutto il set. Per me sarebbe meglio se non fosse permesso o se noi fossimo seduti come in Fed Cup, costantemente a bordo campo, altrimenti ci sarà sempre un problema tra l’arbitro e il giocatore o la giocatrice perché tutti fanno dei segni.

ANDREW BETTLES (allenatore di Svitolina)

Posso chiedere come sta Elina? L’abbiamo vista poco bene in conferenza stampa.
Penso sia stato un forte giramento di testa, ma ieri l’ho vista bene. Abbiamo fatto un bell’allenamento.

Quando vai in campo per parlare con lei, che tipo di atteggiamento hai? Cerchi di tenerla positiva o di darle più indicazioni tattiche?
È difficile, dipende più dalle situazioni e come la vedo reagire. Il più delle volte sono incoraggiamenti, poi forse in altre occasioni cerco di riportarla sulla retta strada. Poi è abbastanza facile quando sei il coach, perché da bordo campo vedi bene che cosa serve.

I coach che erano qui ieri non erano molto favorevoli al coaching in campo. Tu di che parere sei?
Per me è positivo, ci vede più coinvolti. Sarebbe però meglio un principio di uguaglianza. In questo momento noi possiamo farlo nel circuito WTA ma non negli Slam, nei tornei più importanti, dove hai le mani un po’ legate.

Quando hai cominciato a lavorare con Elina, dopo aver lavorato con Ana, tu eri ancora hitting partner. Col tempo il tuo ruolo è cambiato. Anche quando c’era Thierry (Ascione, nda) sembrava come che tu fossi la voce che fosse più vicina a lei. Questa sensazione ora è rinforzata, ma puoi raccontarci il tuo punto di vista?
Con Thierry io ero, diciamo, l’assistente. Però siccome lui era presente per 15-20 settimane all’anno io alla fine finivo per fare molte più cose. Quando poi c’era anche lui, cercavamo di riproporre le stesse cose. Ci voleva un bel bilanciamento con diverse persone a collaborare con lei, però c’era e c’è un bel rapporto.

Quando hai cominciato a lavorare con Elina lei era top-20, adesso è costantemente in top-10, per il secondo anno consecutivo a Singapore. Qual è il cambiamento maggiore che ha fatto?
Penso fosse destinata a questo percorso. Era ancora molto giovane e si sta tutt’ora evolvendo. La cosa più importante che abbiamo fatto è stata quella di renderla un po’ più aggressiva e più consapevole di quello che può fare venendo dentro al campo. Lei è sempre stata ottima nella sua base: difesa, corsa, lotta. Aggiungere questi particolari non può che farle bene.

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