Perché Federer dovrebbe dire basta

In questo impalpabile 2018 post Australian Open, del Federer eterno si è visto ben poco. Certo, sono risultati che comunque il 90% dei tennisti può solo sognare. Ma può bastare?

Prima che vi scaldate e date fuoco agli insulti, sappiate che si tratta del risultato di una discussione “interna”, tra di noi, dove più persone di sono ritrovate in una chat a discutere cosa sarebbe meglio fare al posto di Federer. Non che vogliamo dargli consigli, ci mancherebbe altro, più che altro semplici considerazioni sul futuro dello svizzero. Oggi c’è una prima puntata, ne seguirà un’altra. Pro e contro, appunto. 

26 Ottobre 2023. Ieri, dopo la sconfitta al primo turno dell’ATP di Basilea, Roger Federer ha salutato il mondo del tennis giocato. L’ex numero uno, oggi caduto al 87° posto del ranking mondiale, ha detto basta dopo tante fatiche, rinvii e tentativi di restare aggrappato a un sogno dal quale ormai da tempo forse anche lui si era svegliato…

Partiamo da un estremismo, certo, forse anche esagerato, per calarci in una possibile realtà futurista che moltissimi tifosi dello svizzero sperano di non vedere mai realizzata e alla quale altri, forse per quella che in tanti definirebbero “spietata pietà”, desidererebbero assistere molto prima.

Ormai è da lunghi mesi che tutti gli addetti ai lavori sono in cerca di Roger Federer, quello vero, quello che risorge sempre e che sembra avere sconfitto a scacchi il tempo in una splendida bergmaniana visione del mondo. Eppure, per ora, in questo impalpabile 2018 post Australian Open, del Federer eterno si è visto ben poco. Restano risultati comunque al di là dei sogni del 90% dei comuni tennisti, certamente. Ma la fotocopia sbiadita del re che fu che a ogni torneo vaga per il campo giocando alla “come viene viene” senza mordente e senza stimoli, darebbe da pensare anche al più incallito degli ottimisti.

E la domanda che nasce spontanea, o meglio che continua a risuonare come il campanile rotto di una chiesa di periferia è se valga davvero la pena di continuare ad andare avanti come questo atteso prima, restante poi e agonizzante ora 2018 sta facendo vedere.
Premesso, come fatto altre volte su questi schermi, che Federer si sia senza ogni dubbio guadagnato il diritto di fare quello che vuole e non debba dimostrare più niente a nessuno, sarebbe più che lecito domandarsi se proprio una leggenda del genere meriti una decadenza lunga e straziante come quella a cui questa stagione così lontana dai fasti australiani di inizio anno sembra avviarci. Tanto per evitare fraintendimenti, nessuno nega che tutto ancora possa succedere e che, da qui a tutte le righe che verranno, il mondo del tennis speri fermamente che la storia cambi di nuovo e che la fenice torni ancora a volare; ma se non fosse così?

La domanda quindi non è “Perché non smette?”, bensì un più pragmatico “Non sarebbe meglio se smettesse?”. Il confine è sottile e probabilmente è lì che vaga l’idea di molti, magari anche quella di Federer stesso.

Lasciamo intanto perdere i semplicistici giudizi da tifosi ciechi ed egoisti del tipo “come rovinare una carriera fenomenale”: quello che lo svizzero ha raggiunto, nessuno lo metterà mai in dubbio, a meno di non essere completamente fuori di testa.

Quello che viene da chiedersi però vedendo il modo in cui lo svizzero anche solo affronta ogni torneo è se questo Federer abbia ancora veramente dentro di sé qualcosa da voler dare, e più che per i tifosi, per se stesso. Da tempo lo svizzero ha dichiarato ormai di non voler giocare tanto per i record, ma per il puro amore verso il tennis, o più in parole povere: “Perché è quello che amo fare”. Ma vedendolo giocare, spesso male anche quando vince, e perdere con gli occhi a terra, spento e con la testa che sembra vagare tra episodi di Babylon 5, viene da chiedersi se tutta questa voglia di giocare ci sia davvero. Se così non fosse, beh, allora sì, sarebbe meglio smettere.

Vedendo la completa mancanza di colpi, di mentalità, di lucidità tattica nelle partite, viene da chiedersi se giochi solo per onor di firma (e beninteso, il suo “onor di firma” resta sempre al di sopra del livello della stragrande maggioranza dei suoi colleghi, cosa della quale potremmo scrivere per altre due ore).  In ogni caso un Federer che gioca tanto per fare non lo potrebbe immaginare nessuno, men che meno lui…

Se appendesse oggi le scarpe al chiodo si risparmierebbe, continuando a calcare le scene travestito da propria controfigura, sonore batoste da gente che in passato avrebbe battuto con la sinistra e che lui per primo accetterebbe sempre meno. O sconfitte umilianti alle quali non riuscire magari a dare nemmeno una spiegazione tecnico-tattica.

Si potrebbe pensare che giochi solo per gli sponsor: ma uno che suo patrimonio rispecchia praticamente il valore del PIL di una piccola nazione ne avrebbe davvero bisogno? Oppure per i tifosi: ma a quei tifosi, quelli veri, davvero piacerebbe l’immagine di un Federer spaesato, svogliato, lontano dall’idolo vincente di un tempo? Smettendo adesso lascerebbe con uno slam nel suo ultimo anno. E poi, i Becker, i Supermac, i Sampras e i Borg firmano autografi ancora oggi…

Smettere per le leggende non è facile. Capirlo ancora meno. Per Michael Jordan fu lo stesso. E per quanto chiunque abbia attinto a quegli ultimi canestri magici vedendolo annaspare ancora a 40 anni da panchinaro sul parquet, per i fans e per la storia il suo basket era rimasto a quella posa statuaria al Delta Center dopo aver mandato Russell al bar.

Se oggi Federer dicesse basta probabilmente si risparmierebbe un viale del tramonto che probabilmente lui stesso non vuole. E che forse non riesce ad accettare. Pur sapendo che, come per MJ, quegli anni passati a rinviarlo non intaccheranno minimamente il modo in cui lui resterà per sempre nella storia dello sport. Probabilmente nella sua testa il ritiro, per quanto sia stato già preso in considerazione, è presente in un’altra forma, ben lontana dalla realtà che lo circonda in questo momento. Probabilmente lui se lo immagina dall’alto di un ultimo trionfo, come del resto chiunque se lo augura. Peccato che il rischio al quale va incontro sia di passare altre stagioni sempre peggiori per inseguire un finale che forse ha già mancato.

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