Un anno dopo il rientro di Sharapova, Stoccarda è tornata alla sua normalità

Dodici mesi fa eravamo in una sala stampa che viveva della frenesia per il rientro di Maria Sharapova dalla squalifica per doping. Ora siamo ancora qui, tornati a respirare una situazione più tranquilla in un posto che non ha eguali.

Quest anno Stoccarda sembra un po’ più quieta. È un discorso forse banale, ma che è impossibile non notare. Il torneo deve ancora prendere il via, non vogliamo considerare il 6-2 6-2 di Magdalena Rybarikova a Daria Kasatkina di ieri come match ufficiale perché non vogliamo credere che la russa abbia giocato così male da rimediare appena 4 game sulla sua superficie preferita contro un’avversaria che in carriera, fino a oggi, aveva ottenuto appena 23 vittorie su terra nei tabelloni prinicipali del circuito WTA.

Quest anno Stoccarda è tornata al suo status originale: il miglior torneo WTA della stagione per qualità, parco giocatrici e probabilmente ambiente, ma senza quella frenesia e quell’ansia che provocava la consapevolezza che in un paio di giorni ci sarebbe stato il rientro di una grande campionessa, Maria Sharapova, messa fuori dalle competizioni da una stupidata fatta, che sia la non lettura di una mail o altro. Ora ci sono solo le Porsche, tante, tantissime, parcheggiate lungo l’impianto, a 15 minuti dal museo. E vengono usate da chiunque delle giocatrici, che sia la campionessa in carica o l’ultima giocatrice come ranking delle qualificazioni. Ci sono “solo” i vantaggi di un torneo unico, che propone chef e servizio di camerieri in sala stampa e che qualcosa di speciale, una storia, un momento, lo regala sempre. Ci sono i fan, ci sono le scelte di dubbia qualità del dj della Porsche Arena che propone i Pearl Jam solo a serata finita, ma chi vogliamo criticare? Proprio qui, nella finale del 2015, venne sparata negli altoparlanti “Atemlos”, famosa da queste parti per essere uno dei singoli di maggio successo di una cantante tedesca (Helene Fischer) che è anche la preferita di Angelique Kerber. Quella volta, a inizio terzo set, l’ex numero 1 del mondo aveva ottenuto il controbreak per il 2-3 e al cambio campo, con Torben Belzt al suo fianco che le dava un reset globale, lei è partita al ritornello urlandogli in faccia: “ATEMLOS! durch die Nacht”. Che banalmente può essere tradotto con “SENZA FIATO! Nella notte”.

Il pubblico qui è felice, Kerber è felice, il capo della sala stampa è felice che le giocatrici siano felici, l’uomo-Porsche Markus Gunthard è felice che il suo torneo dal 1977 sia una delle tappe fisse per le migliori. Che dobbiamo dire? Una cosa sola: se potete, non fate più il Tie Break Ten. O quantomeno, visto che rimaniamo in un’esibizione e, via, diamo alla gente panem et circensem, non chiamiamo più CoCo Vandeweghe. È estremamente difficile perdere 30 punti su 38 tra qui e il Madison Square Garden di New York dove subì il cappotto in finale da Elina Svitolina che servì da sotto sul 9-0. Stasera 10-4 per Kristina Mladenovic e 10-4 per Angelique Kerber, lei beatamente baldanzosa a girare per il campo pensando ad aizzare la folla, o a battere le mani a bordo campo (verso chi?). Parlando con alcuni colleghi della sala stampa sembra che la scelta della statunitense sia maturata, semplicemente, perché a causa della Fed Cup si erano ritrovati senza la sesta giocatrice da aggiungere al gruppo delle partecipanti dove, ovviamente, non potevano non esserci le tedesche Julia Goerges (poi vincitrice), Angelique Kerber (finalista), Laura Siegemund (che oltre ad aver vinto il titolo WTA lo scorso anno abita a Filderstadt, località a 20 minuti da Stoccarda, che quindi assume i connotati di torneo di casa), e Caroline Garcia, che non è sponsorizzata dalla Porsche ma ormai è un po’ un testimonial qui a Stoccarda. Kristina Mladenovic, probabilmente, è stata chiamata perché finalista un anno fa, mentre CoCo ce la immaginiamo con il suo solito fare un po’ esuberante, un po’ spensierato, accettare la proposta senza la minima remora già pensando a come fare per dialogare il più possibile col pubblico. Se poi ha avuto effetto, quello non spetta a noi: ce ne laviamo volentieri le mani.

Ma dicevamo, all’inizio, dell’ambiente. Lo scorso anno già nel fine settimana, grazie anche alla Fed Cup tra Germania e Ucraina, la sala stampa era già sovraffollata con l’aggiunta di 3 tavoli da 12 posti rispetto agli anni precedenti che stringevano gli spazi e rendevano tutti appiccicati. Quest anno c’è stata ancora la Fed Cup, c’è stata potenzialmente una sfida di maggior richiamo come Germania-Repubblica Ceca, eppure è tutto ancora molto tranquillo e meno congestionato. Potenza di Sharapova, alle volte mal valutata. Lo dicevamo probabilmente un anno fa, e se non l’abbiamo fatto peste ci colga: amarla od odiarla cambia poco, perché a dispetto di tante altre lei fa molta più presa su tanti aspetti, e non stiamo parlando di bellezza fisica o di come gioca, ma dell’atteggiamento che ha con le persone con cui deve relazionarsi nella vita professionale. Viene naturale paragonarla con quelle che si sono scagliate duramente contro di lei pur avendo un indice abbastanza alto di popolarità: Caroline Wozniacki per quanto stia vivendo un ottimo periodo non riesce a non mettersi in confronto con la russa e a “rosicare” anche a distanza di mesi per il suo rientro nel tour. Tra l’altro, avrebbe anche piazzato una sfuriata enorme a Singapore contro il direttore della Porsche per la wild-card di 6 mesi prima data alla russa in questo torneo. Tutto questo pochi minuti dopo aver messo le mani sul titolo più importante della carriera, prima dell’Australian Open, lamentandosi oltretutto di una decisione che non ha influito sulla sua stagione per una giocatrice che in quel momento, fine ottobre, era ancora ben lontana dalla top-50 mentre lei aveva messo le basi per il ritorno al numero 1 WTA. 

Lo scorso anno c’erano tantissimi giornalisti che non sono mai passati a Stoccarda, salutati da Sharapova con la frase iconica della settimana: “Il The Sun è mai stato a Stoccarda prima d’ora?”. Detta in inglese suona anche meglio: “Has The Sun ever been in Stuttgart before?”. Il sole, lo scorso anno, si è visto quasi mai, con un freddo intenso e cielo spesso grigio e carico di pioggia. Quest anno, come a voler rimarcare il netto contrasto rispetto al 2017, siamo stati accolti da un caldo allucinante: nel fine settimana si è arrivati ai 30 gradi del venerdì. Quella stessa sera giravamo per le strade di un sobborgo e ancora si sudava come fossero le 3 del pomeriggio di un giorno d’estate. “È una cosa impossibile” ripeteva René Denfeld, amico e collega che scrive per Tennis-Point.de ma che lavora anche nel reparto comunicazione della federazione internazionale di Biathlon, rassegnato. Domenica sera, usciti dall’impianto, stavamo andando a sederci per prendere qualcosa al Palm Beach, un pub a 10 metri di distanza, sotto l’albergo delle giocatrici. Erano le 6:30 di sera, i tavolini fuori già pienamente in servizio (considerate che è un periodo, questo, dove in Germania potrebbero non esserci più di 10-12 gradi, e 2 anni fa nevicava proprio in questi giorni), e un’afa da far paura. In ogni caso, se doveste capitare da queste parti in questo periodo fate un salto in questo locale la sera prima dell’inizio del torneo: qualcosa di particolare lo troverete sempre tra giocatrici e altri addetti ai lavori. Avete presente Kader Nouni, il giudice di sedia con la voce che ricorda Mario Biondi? Lo scorso anno, di domenica, c’era la sfida tra Barcellona e Real Madrid, decisa con una rete all’ultimo secondo dei catalani. Il Real aveva trovato il pareggio poco prima e stava andando all’attacco per il 3-2, Nouni aveva smesso di bere la sua birra, salivazione azzerata, incurante di quello che gli altri componenti del tavolo (tutti giudici di sedia, per una serata comune) dicevano. Al gol di Messi è sprofondato giù per la sedia, con la stessa faccia di Kerber ieri sera mentre veniva inquadrata in mezzo a Vandeweghe e Mladenovic che applaudivano convinte a ritmo durante il TBT e lei a guardarsi intorno come a chiedersi cosa ci facesse lì.

Eppure è tutto diverso, se ne parlava mentre tornavamo ai rispettivi hotel con la collega Ros Satar di Britwatch Sport. Non è questione di meglio o peggio, ma essere stati nella sala stampa della Porsche Arena lo scorso anno e poi ora, è palpabile. Nel 2017 c’erano giornalisti russi, cinesi, da Singapore, i britannici, c’era la Gazzetta dello Sport e il Corriere della Sera, c’era il famoso fotografo Ray Guibilo. Quest anno siamo tornati noi: i tedeschi, che stanno in disparte, arrivano quando vogliono e si occupano prevalentemente delle giocatrici di casa, e poi noi della stampa internazionale, un gruppetto di 6 persone che arrivano verso le 10 del mattino, si gode l’ambiente, chiede conferenze stampa di quasi tutte le giocatrici, e finisce la giornata con un salto al Palm Beach non prima delle 10:30 o 11 di sera. Claus Peter Andorka, responsabile della sala stampa, fin dal 2015 ci ha detto una cosa: “Sono felice di avervi qui, alle giocatrici piace tantissimo questa considerazione che avete verso di loro e sto ricevendo tanti commenti positivi”. Quell’anno c’era anche Angelica Fratini, che saluto con tanto affetto: se ho scoperto questo torneo, è grazie a tutti i commenti positivi che mi ha sempre fatto a riguardo. Viktoria Wohlrapp, responsabile Porsche, ci ha raccontato che in inverno si è sentita con diversi dei giornalisti presenti qui lo scorso anno che raccontavano di come si fossero sentiti trattati bene e di quanto fosse un dispiacere non poter replicare, ma senza un buon motivo per giustificare la loro presenza (per esempio: i britannici erano certi che Johanna Konta quest anno non ci sarebbe stata perché nel fine settimana precedente all’inizio del torneo era in Giappone per la Fed Cup) non potevano convincere gli editori dei rispettivi giornali a mandarli “in trasferta” senza una valida motivazione.

Così alla fine siamo di nuovo noi, con una Maria Sharapova abile e arruolatile fin dall’inizio, che si è “goduta” una corsa in macchina con accanto Mark Webber, entrambi volti principali della Porsche, e l’australiano che le urlava di premere l’acceleratore a tavoletta e lei che reagiva urlando come una matta.

Vi dirò, tutto sommato è un (gran) bell’andare, anche perché finora si sta parlando perlopiù delle gesta di Marta Kostyuk, che ricordiamo non ha neppure 16 anni e ieri si è qualificata per il tabellone principale giocando un match di grandissimo spessore contro Alizé Cornet, “spaventandosi” come ha detto lei nel primo set, ma poi cambiando marcia e mettendo l’ottava (esiste) dall’1-2 nel secondo set al 4-0 nel terzo, tenendo piuttosto bene fino alla fine. Lo scorso anno si parlava di una giocatrice fuori per doping, di critiche, di attese, di commenti e frasi nascoste tra le righe. Ora si parla di quello che potrebbe essere il futuro del nostro sport con le giovanissime che stanno già cercando di farsi strada. C’è una certa differenza, qualunque sia il modo di interpretarla.

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