Se Federer cambia la Storia, e non solo del tennis

I venti slam di Roger Federer è uno di quei record che l’uomo ha ritenuto impossibili, irraggiungibili, semplicemente disumani. Un record che non ha quasi senso.

Venti Slam. Valgono più di un record. Valgono come il 9”58 di Bolt nel 100 di Berlino, come i due voli oltre la fettuccia degli otto metri e novanta nel lungo, prima di Beamon a Città del Messico, poi di Powell a Tokyo ventitré anni dopo. Venti Slam sono come una scalata, la vetta del Kilimangiaro raggiunta da Kilian Jornet in cinque ore e 23 minuti. Sono le dodici Champions League del Real Madrid, sono i 46” e 91 nei 100 stile libero di Cesar Cielo Filho. È uno di quei record che l’uomo ha ritenuto impossibili, irraggiungibili, semplicemente disumani. Un record che non ha quasi senso.

Non ci sono gli anni sufficienti, in una carriera, per raggiungere un record come questo. Non si diceva così? Anche l’anno scorso, quando Roger ha firmato la diciottesima conquista proprio qui, a Melbourne, e dopo, quando è arrivata la diciannovesima a Wimbledon, in luglio, l’impresa di metterne insieme venti sembrava ancora lontana, inaccessibile.

Ma Federer sta cambiando i termini della Storia, le regole, ha quasi trentasette anni, gioca ancora, a volte sembra giochi meglio di prima. Lui sì, poteva riuscirvi. E lui, alla fine, vi è riuscito. Al primo colpo, e soffrendo. Una nobilissima sofferenza che il pubblico ha cercato di lenire facendola propria, partecipando. Il sesto Open d’Australia è giunto da un’emozione di gruppo. Anche per questo il ventesimo Slam dell’Era Federer vale, da solo, tutto il tennis.

Le lacrime e la vittoria, un connubio che scuote anche gli animi più duri. Il momento più intimo che si sposa ai gesti del trionfo, e li ammorbidisce, li rende più comprensibili. Federer piange, ed è la terza volta qui a Melbourne. Sono lacrime che tutti aspettavano e pazienza se finiscono per provocarne altrettante, in un curioso effetto domino. Se il Più Grande si commuove, figurarsi noi poveri mortali. Si ritrovò abbracciato a Nadal quando perse il torneo del 2009. Erano lacrime di sconforto, e di rabbia, per una vittoria sfuggita di un niente. Pianse poi sulla spalla di Rod Laver, nel 2010, quando tornò a conquistare il titolo. Fu la vicinanza di quel grande a farlo straripare. Piange anche oggi, Roger, e c’è poco da fare, o da dire… È comunque un suo segno distintivo.

Ma sono lacrime di pura gioia, stavolta. L’impresa è grande, la più grande che si possa immaginare. Venti Slam riscrivono di fatto la Storia del nostro sport, perché segnano una distanza forse incolmabile con lo stesso Laver, il vincitore di due Grand Slam e l’unico che possa competere con Federer. Laver chiuse la sua carriera a undici titoli, ma quante volte si è detto, e scritto, che se avesse potuto giocare gli Slam negli anni che visse da professionista, ne avrebbe vinti molti di più. Quanti di più? Nove di più? Federer si è spinto così in alto che anche Laver forse non avrebbe potuto gareggiare con lui.

Venti Slam non bastano a ridare a Federer il numero uno. Nadal sarà ancora avanti per centocinquanta punti. Sono quelli accumulati con le vittorie sulla terra rossa. Ma forse non era la leadership l’obiettivo di Federer. Le sue 302 settimane in vetta sono già un record. C’era altro… La trentesima finale Slam da onorare. La sesta vittoria a Melbourne da conquistare. E quel ventesimo titolo, che porta il tennis dove nessuno pensava potesse giungere.

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