Cosa resterà dell’Australian Open 2018

L'edizione 2018 dell'Australian Open è stato meno esaltante di quella dello scorso anno, ma ricorderemo molte cose. Da Chung alle polemiche e, come sempre, la sovrastante figura di Federer.

La stagione 2017 era iniziata con una finale degli AO da capogiro, un Federer-Nadal deciso al quinto che aveva riportato sulla cresta dell’onda i due “vecchietti”, dati da molti oramai per finiti. Un appuntamento, il Fedal, al quale avevamo deciso con mestizia e consapevolezza di smettere di abituarci e che era invece tornato prepotentemente d’attualità. Abbiamo allora caricato – pur non credendoci realmente – gli Open di Australia 2018 di quelle stesse aspettative, consci però che sarebbe bastato poco per disattenderle. E se dimentichiamo per un attimo lo Slam numero 20 conquistato dallo svizzero, che resterà comunque nella memoria di molti appassionati e non, il giudizio complessivo non può che essere deludente. Senza andare troppo nel dettaglio, è sufficiente leggere accoppiamenti e punteggi delle due semifinali 2017 (Federer-Wawrinka e Nadal-Dimitrov, entrambe chiuse al quinto set) e 2018 (Federer-Chung e Cilic-Edmund, un totale di 3h20m complessivi e scarsi 5 set totali) per farsi un’idea del differente impatto che hanno avuto le due edizioni australiane sulla stagione tennistica.

Nonostante questa premessa, sono molti gli spunti che ci riportiamo da Melbourne tra conferme e “nuove proposte”, proviamo allora a menzionarne alcuni di seguito cercando di prevederne le evoluzioni.

Sasha Zverev
La prima conferma, per così dire, viene dal tedesco numero 4 del mondo, 21 anni da compiere ad Aprile: Sasha, cinque trofei vinti nel 2017 tra cui due Masters 1000 (Roma e Canada), ha infatti confermato la sua scarsa tenuta mentale negli Slam, dove sinora non è mai riuscito ad affacciarsi alla seconda settimana. La sensazione è che si tratti quasi esclusivamente di una questione psicologica: se riuscirà a lavorare su quest’aspetto nei mesi a venire, sarà indiscusso protagonista al prossimo Roland Garros.

Wawrinka e Djokovic
Le loro condizioni alla vigilia erano pressoché sconosciute, e grossi dubbi permangono in realtà ancora adesso. Quella di Stan a Melbourne è stata un’apparizione fugace, uscito al secondo turno contro Sandgren (97 ATP, che menzioneremo di seguito) e palesemente in ritardo di condizione. Per Nole il discorso è invece diverso: l’idea è che il serbo abbia forzato il rientro anche per capire quanto competitivo potesse essere con un gomito non al meglio, soprattutto al servizio. Dopo la sconfitta in 3 set agli ottavi da Chung, sembra si sia fatta spazio nella sua mente l’idea di un’operazione che rallenterebbe di molto i tempi di recupero. Pur non augurandocelo, probabilmente appellativi come Stanimal e Robonole rimarranno nel cassetto: è difficile pensare che i due torneranno ai loro livelli di un tempo.

Nick Kyrgios
Il beniamino di casa arrivava allo Slam con enormi aspettative, grazie soprattutto alla vittoria ottenuta sette giorni prima a Brisbane, ottima premessa per un promettente Slam. Nick ha fatto il suo fino al terzo turno, dove ha sconfitto in 4 set un caparbio Tsonga. Agli ottavi però è arrivata la sconfitta contro Dimitrov, in quella che è stata la partita più bella di questa edizione. Il bulgaro ha sfornato una prestazione maiuscola salendo in cattedra nei momenti decisivi, a differenza dell’australiano. Se da un lato c’è sembrato un Kyrgios più presente a se stesso e più costante, va d’altronde sottolineato che in alcuni momenti è tornato quello degli anni scorsi, incapace di decifrare l’andamento del match e distinguere i punti importanti da quelli meno determinanti. L’australiano deve decidere – e in fretta – cosa vuol fare da grande, se continuare su questa falsariga fatta di molti “highlight” e colpi spettacolari ma poche vittorie, o iniziare a prendere sul serio il suo talento e lo sport nel quale ha deciso di incanalarlo.

Marin Cilic
Prima finale a Melbourne e terza in un Major per il croato di Medjugorje, che a partire da lunedì è numero 3 ATP per la prima volta. Dopo la vittoria agli US Open 2014 Marin ha trionfato, tra Slam e Masters, solo al Master di Cincinnati nel 2016, un palmares un po’ scarno per chi punta alla vetta della classifica ATP (parole sue). È anche vero che sia contro Nadal che in finale contro Federer ha dimostrato di essere in crescita e soprattutto in fiducia. Servizio e dritto sono già letali, c’è da migliorare la tenuta sullo scambio lungo, dove al momento ha ancora difficoltà a portare il punto a casa contro avversari più avvezzi a questo tipo di gioco. Se sarà in grado di farlo potrà sicuramente togliersi qualche soddisfazione in più, anche se la prima posizione ATP sembra un traguardo poco verosimile.

Kyle Edmund
Una delle sorprese più liete di questa edizione, l’inglese nato a Johannesburg grazie alla semifinale raggiunta a Melbourne si isserà in classifica fino alla top 30, avvicinandosi al connazionale Andy Murray. Una soddisfazione non da poco per Kyle, che prima di oggi aveva al suo attivo solo un ottavo di finale negli Slam. L’inglese, sponsorizzato tra gli altri proprio dal suo più famoso e titolato connazionale, ha fatto passi da gigante nell’ultimo anno, soprattutto al servizio dove la percentuale di prime vincenti è cresciuta sensibilmente rispetto al passato. Se continuerà a migliorarsi con questa cadenza e riuscirà a dare più solidità al suo gioco, potrà stazionare stabilmente tra i primi 20-25.

Heyung Chung
Il sudcoreano si è presentato alla griglia di partenza con in mano la vittoria alla prima edizione delle Next Gen ATP Finals di Milano. Durante gli Australian Open si è ritagliato la sua fetta di popolarità grazie all’accesso alle semifinali, sconfitto da un impeccabile Roger Federer e da alcune vesciche sotto il piede sinistro che non gli hanno concesso di portare a termine la partita. Si porta comunque a casa gli scalpi importanti di Zverev e Djokovic. Cresciuto proprio nel mito di Nole, l’asiatico deve sicuramente migliorare molto al servizio, ancora poco incisivo, ma la tenuta fisica e mentale sono già promettenti. Con una testa così determinata, se non si farà distrarre dalle sirene mediatiche i progressi tecnici sono la naturale conseguenza: pur senza attenderci un tennis spettacolare, potrà dire la sua nei prossimi anni.

Le polemiche
Niente di nuovo sotto il cocente sole australiano. Alle polemiche legate alle dichiarazioni estive di Margaret Court, che hanno trovato ovviamente facile e rinnovata risonanza nei primi giorni dello Slam dato che all’ex tennista australiana è dedicato il secondo stadio di Melbourne Park, si sono aggiunte quelle per le condizioni climatiche: troppo caldo, troppo umido, chi gioca di giorno, chi gioca di sera, il tetto c’è ma non si usa, e chi più ne ha più ne metta. Già nella settimana che ha preceduto lo Slam erano iniziate le prime discussioni sul prize money ed in generale sull’importanza dei tennisti nel panorama tennistico. Sembra un gioco di parole ma non lo è: i giocatori si sono radunati privatamente in un meeting indetto da Djokovic, per discutere del loro ruolo e coinvolgimento all’interno dell’ATP, e di un aumento dei premi, ritenuti al momento troppo bassi.
Se a queste aggiungiamo la baraonda mediatica creatasi nella seconda settimana a seguito dei tweet razzisti di Sandgren che certo non immaginava di finire nell’occhio del ciclone per motivi extra tennistici, il cerchio è completo.

Roger Federer
E infine c’è lui. Non poteva mancare la postilla celebrativa su Roger Federer. 20 trofei Slam, 30 finali Slam, 27 Masters 1000… Si potrebbe continuare per ore a snocciolare dati e record, e non renderebbe comunque l’idea dell’impresa dello svizzero. La nostra speranza è di vederlo ancora a lungo illuminare i campi di tennis di tutto il mondo. La tua emozione è anche la nostra, Roger, grazie ancora di tutto.

Dalla stessa categoria