Il caldo, i tetti e l’assurda cocciutaggine degli australiani

Il caldo di questi giorni è un classico a Melbourne ma tra lamenti interessati e giustificazioni furbette una cosa è sicura: gli australaini hanno la testa dura.

Roger Federer ha liquidato la questione del troppo caldo quasi con disprezzo, come a dire che è estate e le alte temperature torride sono parte integrante dell’estate. In più loro, i tennisti che giocano uno slam, sono professionisti ed essendo tali sono abituati (o dovrebbero esserlo) a competere in qualsiasi tipo di condizione, anche a 40 e più gradi, anche a mezzogiorno sotto un sole terrificante.

Qualcuno ha sottolineato ghignando che è facile per lo svizzero parlare in questo modo, visto che tanto lui, a Melbourne, gioca sempre e solo di sera, caldo o freddo che ci sia, o male che vada nel terzo incontro, quando comunque le temperature sono sullo scendere. Novak Djokovic, che raramente si trova d’accordo su qualcosa con Federer, dopo aver giocato e vinto il suo match contro Gael Monfils, massacrati dal sole sulla Rod Laver Arena, ha invece sentenziato che “in questo modo non è sport, è business”, andandoci poi più pesante parlando con connazionali serbi, dicendo che “i tennisti sono trattati come animali. Prima vengono tv, sponsor, soldi e biglietti, poi veniamo noi”. 

Molti suoi colleghi sono in linea con Nole, ad altri (non a troppi a dire il vero) non sembra interessare più di tanto e la pensano più come Federer. Fatto sta che ieri e oggi, di fatto, non si è giocato a tennis. O meglio: le partite sono state per forza di cose condizionate fortemente dalle temperature.

Gli australiani con il caldo hanno un rapporto di amore, su questo non ci piove. Per loro più alte sono le temperature, meglio è. Si vede dai loro volti, anche dal modo di vestire, che non aspettano altro che il sole li baci. Hanno un profumo della pelle che sa perennemente di crema abbronzante e di altre sostanze che accolgono i raggi, invece di respingerli.
Non per nulla, infatti, l’Australia ha un triste primato a livello mondiale, quello dei tumori alla pelle che colpiscono gli “aussie” in maniera implacabile. E proprio questo, in una sorta di legge di contrappasso, fa capire quanto sia stretto il legame tra il sole, il caldo e gli australiani. Nonostante tutti sappiano, qui “Down Under”, che i raggi sono più dannosi, più forti e più devastanti che in altre parti, sembra che nessun buon australiano sappia rinunciare ad una bella tintarella, in barba ai rischi. Capiamoci, non sono pazzi o sprovveduti, anzi qui il problema dei tumori alla pelle è davvero qualcosa di temuto, combattuto e prevenuto, ma tant’è. Quando superi i cancelli ed entri nell’impianto, proprio davanti alla Rod Laver Arena, sotto un maxischermo ci sono delle vere e proprie sedie a sdraio, che ricordano quelle che troviamo in spiaggia in estate. Di giorno, non ce n’è una vuota, nemmeno a pagare. Melbourne, città ventosissima, quando c’è molto caldo, come in questi giorni, hai perennemente la sensazione dell’asciugacapelli acceso sparato in faccia. Per fortuna non c’è molta umidità, ma stare fuori, muoverti, camminare in strada, persino assistere ad una partita di tennis all’ombra è una tortura.

Tutto questo forse fa capire il perché gli australiani, gli organizzatori degli Australian Open, non considerino il caldo come un problema, evidentemente. Prima delle polemiche che inevitabilmente sono arrivate,  l’idea di chiudere i tetti della Rod Laver Arena, della Hisense e della Margaret Court quando sarebbe non solo utile farlo, ma sarebbe proprio sacrosanto, nemmeno gli era passata per la testa. “Non è un torneo indoor”, rispondono, ma chi lo fa solitamente è ben nascosto in una stanza con l’aria condizionata in faccia. Il campo da gioco ieri, alle 18 ora locale, ha registrato i 69 gradi. Un forno, quasi. E quella dell’aria abbondantemente superato i 40. Dopo il drammatico 2014, con un caldo record e con i giocatori che svenivano in campo, era stata introdotta, nel 2015, una “extreme heat rule policy”, con sospensione di gioco e tetto chiuso quando venivano superati i 40 gradi o i 32.5 in caso di umidità particolare.  Adesso le regole sono cambiate. Di nuovo.E visto che la cosa stava diventando un pochetto imbarazzante, Tennis Australia ha chiarito il tutto con un comunicato, cui hanno allegato la serie storica delle temperature rilevate durante il giorno di venerdì, sia con il metodo “dry bulb” (temperatura “reale),  sia con il metodo WBGT (Wet Bulb Global Temperature, una formula che tiene conto di temperatura, umidità, vento e Indice UV), che è quello che regola la Extreme Heat Policy degli Australian Open.
“Come si vede dalle temperature rilevate, a Melbourne Park la temperatura è arrivata a 40,2 gradi verso le ore 14, con un valore WBGT di 31.1. Siamo quindi arrivati molto vicini ad implementare la Extreme Heat Policy, quella che prevede la sospensione del match. Il previsto calo di temperatura tuttavia è arrivato poco dopo le 16, facendo calare l’indice WBGT di quasi 5 punti in 26 minuti rendendo l’interruzione non necessaria. La salute dei nostri atleti e la regolarità della competizione sono la nostra preoccupazione principale in queste condizioni – ha commentato il direttore del Torneo Craig Tiley – Nonostante si competa in tutto il mondo in climi molto caldi, gli Australian Open sono uno dei pochi tornei che ha una policy per prevenire situazioni pericolose”.

Parole che sembrano essere venute da un altro mondo, visto che ai meri dati, hanno fatto da contraltare le scene che si sono viste in giro per i campi, con partite – non partite, malori e mancamenti (come successo alla Cornet). Tutto questo per tenere il punto e per non rendersi conto di quanto poteva essere facile risolvere, o quantomeno “favorire”, il tutto, chiudendo quei benedetti tetti. Ma quando si è testardi (e gli australiani lo sono veramente tanto), non c’è niente da fare. Peccato.

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