Kvitova: “Ho cominciato ad amare la nuova mano”

Quasi un anno fa l'agguato subito da Petra Kvitova a Prostejov. Ora in un'intervista esclusiva realizzata da Claire Bloomfield rivela: "Ci vorrà ancora del tempo perché io guarisca".

“Se non stessi giocando a tennis, probabilmente ora non sarei così positiva”. Vuol prenderla con filosofia Petra Kvitova, intervistata in esclusiva da Claire Bloomfield in un’intervista poi apparsa sul The Guardian, a quasi un anno dall’agguato nella sua casa di Prostejov. Era il 20 dicembre 2016 e nelle prime ore della mattina una persona si è introdotta in casa fingendosi ispettore del gas e cercando ripetutamente di accoltellarla alla gola, riuscendo “soltanto” a trafiggerle la mano sinistra tanto da rendere necessario un intervento di 4 ore per salvarne la funzionalità, prima ancora che la carriera. L’operazione si concluse nel migliore dei modi ma i tempi per il pieno recupero sono ancora ignoti. “Mi ci vorrà più di anno per riprendere la completa utilità”, ha detto, riferendosi soprattutto alle due dita che ancora non sente completamente e l’impossibilità di stringere il pugno fatto che si può vedere anche in campo quando da che era solita esultare con la racchetta nella destra e il pugno chiuso nella sinistra ora è costretta a fare l’opposto.

Petra non ha quasi mai voluto fare riferimento all’episodio, neppure quando un mese fa uscì la notizia che la polizia era costretta a sospendere le indagini per assenza di piste concrete da seguire. In Repubblica Ceca addirittura qualche media aveva sparso la voce che lei si fosse procurata tutti quei danni, chissà per quale ragione. Adesso parla però più in forma personale, senza nominare l’aggressore (di cui aveva subito fornito l’identikit alla polizia che si era poi impegnata a chiedere l’aiuto di chiunque avesse informazioni anche dietro a compensi molto elevati): “Ho fatto già tanto fin qui, e c’è ancora margine di miglioramento. Spero che con un po’ più di tempo possa diventare ancora più forte. C’è tanta felicità per come si è sviluppata tutta la fase di recupero, da parte mia cercavo soprattutto di guardare al domani con un po’ più di positività”.

Il termine “positivo” e le sue variabili ritornano, come indicato anche nella frase che abbiamo usato come apertura di questo articolo: “Se non stessi giocando a tennis, probabilmente ora non sarei così positiva, ma non è piacevole rivedere quei flashback. C’è un momento in cui provo a dimenticare ma mi rendo conto che non potrò mai farlo. Questa esperienza mi ha fatto capire quanto duramente io possa lavorare e quale veramente sia il mio spirito combattivo. Sentivo le varie voci, persone che dicevano che non sarei potuta tornare a giocare, in quel momento mi sono detta che gliel’avrei fatta vedere”. Una determinazione di ferro che, come scrive la giornalista, è tale e quale a quella del padre Jiri.

“Mi chiedevo come mai la gente non mi desse alcuna speranza. È stato piuttosto doloroso. In quel momento probabilmente non realizzavo quanto fosse grave la situazione perché nessuno me l’aveva ancora detto. Chiesi al dottore che mi aveva operato, mi disse che per molti esperti non avrei più potuto giocare. Lui non ha voluto dirmelo e quello fu un segnale molto importante per motivarmi. La settimana dopo l’intervento gli chiesi se avrei potuto giocare a Wimbledon. Ci ha pensato un po’, poi mi ha risposto: “Dovremmo lavorare molto per riuscirci”. Ho capito lì che non sarebbe stato facile, ma che ce la potevo fare”.

La racchetta è arrivata dopo 12 settimane dall’intervento e all’inizio era quasi impossibile afferrarla. Non sentire bene il manico nelle mani fu un colpo abbastanza duro alle sue speranze: “Ho parlato a lungo con il mio coach, in quei momenti. Gli ho detto che non volevo fare alcun cambiamento perché anche il minimo dettaglio nella racchetta per me sarebbe stato qualcosa di estremamente difficile da assimilare. Gli ho detto: “Andiamo avanti così, ti prego dammi del tempo per vedere come la situazione evolve”. Fortunatamente questo era lo stesso pensiero che aveva lui. Sono felice che non ci sia stata alcuna modifica nella racchetta. Tutto è uguale a prima, e va più che bene.

Forse alcuni risultati non sono stati entusiasmanti, come la sconfitta al secondo turno nello Slam a lei più caro (Wimbledon), ma dopo tutto quello che è successo è qualcosa destinato a passare in secondo piano: “Essere in campo per Wimbledon e raggiungere i quarti allo US Open è stato fondamentale per la mia fiducia. Questa stagione è stata da montagne russe: l’inizio è stato molto difficile e sono felice che sia finita, adesso posso guardare avanti in maniera positiva”. Un anno dopo l’agguato, Petra è tornata a giocare e se questo è sembrato per tanti un miracolo, per lei è soprattutto un passo avanti importante per riappropriarsi della sua vita. Nel 2018 l’obiettivo può essere quello di riappropriarsi della top-10: “L’anno è stato complicato e ho provato grandissime emozioni nel momento del rientro, ma ora è ormai passato un anno e sono tornata a giocare, e anche bene. Questo è tutto ciò che avrei potuto desiderare”. L’ultima battuta: “Ho cominciato a vivere con la mia nuova mano, ho cominciato ad amarla e questo sarà come vorrò viverla. È la mia mano e sono felicissima di avere ancora tutte le dita”.

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