Nelle mani di Cilic

Marin Cilic e Roger Federer sono arrivati in finale a Wimbledon rischiando molto poco. Basterà per avere una bella partita?

Alla fine le cose sono andate come dovevano andare. Cilic-Querrey hanno onorato la loro semifinale, giocando una partita “da Wimbledon” con appena sei break e set tiratissimi, decisi da pochissimi punti. A dire il vero la vittoria di Marin, non è sembrata in discussione neanche quando il croato ha sparacchiato due rovesci in corridoio regalando il tiebreak del primo set allo zio Sam ma lo statunitense è stato bravo lo stesso a stare incollato al croato fino alla fine. Forse c’entra anche il fatto che Querrey non aveva tanto da spendere, dopo i tre match chiusi al quinto contro Tsonga, Anderson e l’infortunato Andy Murray. A partire dal secondo set si sono moltiplicate le occasioni per Cilic che però si porta dietro già dal Queen’s una pericolosissima tendenza alla distrazione. A Wimbledon finora ha avuto margini per non pagare troppo dazio di turni di servizio smarriti improvvisamente ma è sin troppo facile pronosticare che se non sistema questo aspetto la partita contro Federer finirà prima di cominciare. Com’è ovvio si sprecano le similitudini con lo US Open 2014, ma quello era un altro Cilic, devastante fino allo stupore. Questo somiglia di più al giocatore solido e di ottimo talento che ha raggiunto buoni risultati – è stato semifinalista altre tre volte, oltre a questa e a quella del 2014, a Wimbledon era arrivato ai quarti anche nel ’15 e nel ’16 – ma destinato a soccombere al cospetto dei Fab, contro i quali ha perso tutte le partite ricordate. Il suo percorso non è stato certo impossibile ma appunto è stato bravo a controllare sia avversari pericolosi come Kohlschreiber e Mayer, sia la tensione che è sembrato visitarlo ai quarti e in semifinale. Basterà contro Federer?

Ed eccoci al campione annunciato, che arriva in finale a Wimbledon a 35 anni senza aver perduto un set, per la terza volta dopo quelle del 2006 e del 2008. La prima volta in finale ne perse uno al tiebreak, la seconda ne perse tre. Su Federer è sempre difficile dire cose di particolare originalità e non ci si può che stupire nel trovarlo ancora così reattivo e fresco, soprattutto mentalmente, dopo una carriera come la sua. Lo svizzero ha disputato un torneo più che buono – del resto in finale a Wimbledon non ci arrivi certo giocando male – ma, com’è naturale, niente di paragonabile alla macchina da guerra dei due tornei ricordati. Nel 2006 Federer arrivò al cospetto di Nadal avendo perso 52 game e gli rifilò un 6-0 nel primo set, prima di complicarsi un po’ la vita. Una sola volta l’avversario lo portò al tiebreak, e negli altri set nessuno arrivò a cinque game. E si trattava di gente come Gasquet, Henmann, Berdych, Ancic. Quello di oggi ne ha persi 63 in cinque partite, più i tre game persi contro Dolgopolov e contro avversari un po’ più malleabili che comunque sono riusciti tutti quanti, Dimitrov escluso, a condurlo almeno al tiebreak. Insomma il vecchio Federer ha margini meno ampi ma pur sempre rassicuranti, anche se pure lui ha messo in mostra qualche momento di incertezza in alcune fasi della partite. Contro Lajovic ha cominciato addirittura prendendo il break, contro Raonic si è salvato nel terzo set da 4 palle break che avrebbero portato il canadese a servire per il set, nella semi con Berdych ha avuto un improvviso black out nell’ottavo game del primo set. A preoccupare Federer potrebbe essere il leggero calo che è sembrato avere nella parte centrale della partita, anche se risolta la questione ancora col tiebreak del secondo set, il resto è stato abbastanza agevole. Ma la gestione di questi cali è quella del giocatore troppo esperto per non saper gestire questi momenti di difficoltà. Il terribile sesto game del terzo set, con Berdych che era arrivato a 15-40 e un minuto dopo aveva perso il game, è forse l’esempio più nitido della capacità dello svizzero di cambiare improvvisamente marcia. Ecco, se i felici smemorati cercano qualcosa in cui il Federer di oggi è certamente superiore è la straordinaria capacità di concentrazione che ha messo in mostra in questi suoi ritorni a Melbourne a a Wimbledon.

Alla fine dunque ci sarà la finale tutto sommato più giusta di un torneo abbastanza deludente, se non si è tifosi di Federer, posto che sia possibile. Sperare in una finale bella è forse eccessivo ci accontenteremmo di una partita come quella dell’anno scorso. Ma già quella sarebbe una sorpresa.

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