Karolina Pliskova numero 1, ma l’urlo del Centre Court lascia amarezza

Comincia l'avventura da numero 1 per Karolina Pliskova mentre si certificano una volta di più le difficoltà di Simona Halep. Il tutto con un episodio che rovina il match tra la rumena e Johanna Konta.

Prima di cominciare, vorremmo ribadire un concetto. Si può essere numero 1 al mondo in due modi: dominando i tornei più importanti o risultando il giocatore o la giocatrice più costante nell’arco delle ultime 52 settimane. Perché alla fine essere numero 1 vuol dire proprio l’aver collezionato più punti nell’arco dell’ultimo anno, ed è questo che Karolina Pliskova, la ventitreesima numero 1 del mondo da lunedì prossimo, ha fatto. Il paradosso, semmai, è che sia arrivato al termine di uno Slam come Wimbledon, dove è uscita al secondo turno per mano di quella Magdalena Rybarikova che in 9 edizioni dello Slam londinese giocate aveva vinto solo un paio di partite, nel 2015, per il resto solo sconfitte, mentre ora si ritrova tra le migliori 4 del torneo dopo aver superato anche CoCo Vandeweghe.

È stato l’unico degli ultimi 4 Major che la ceca ha mancato: finale allo US Open, quarti di finale all’Australian Open, semifinale al Roland Garros. Il titolo più importante è il Premier 5 di Cincinnati, ma oltre a quello si aggiungono Brisbane, Doha e Eastbourne, più le semifinali a Indian Wells e Miami. A 25 anni, diventa così la prima tennista proveniente dalla Repubblica Ceca a raggiungere la vetta del mondo, staccando Petra Kvitova che si era fermata al numero 2. Oltre a lei anche Martina Navratilova, che è nata nell’attuale Repubblica Ceca ma quando ancora si chiamava Cecoslovacchia.

Ci sono però tanti sentimenti contrastanti, perché anzitutto dispiace (tantissimo) che tutto sia nato da un finale di match che non vorremmo vedere tra Simona Halep e Johanna Konta, senza che le due giocatrici avessero colpe in particolare. L’atmosfera sul Centre Court era da pelle d’oca, un match di intensità ed equilibrio da non staccare l’occhio dal campo per non perdersi un attimo. Solo a vedere le immagini dalla televisione saliva l’adrenalina: quel coinvolgimento, quelle tensioni che trasparivano, quegli sguardi un po’ concentrati un po’ intenti a nascondere le paure e a far affogare i pensieri. C’era tutto perché divenisse un match da ricordare, compresa la standing ovation nel momento in cui le due si sono alzate dopo l’ultimo cambio campo, sul 5-4 e servizio per la britannica nel set decisivo. C’era voglia di impresa, sia per l’una che per l’altra, ma quanto è successo poco più tardi ha rovinato tutto. Sul match point una persona tra gli spalti ha urlato, forte, quando un colpo della rumena è finito negli ultimi centimetri di campo. La palla era buona, Konta l’ha rigiocata, ma Halep aveva staccato la spina, convinta di aver già perso, così da gettare la palla in mezzo alla rete nel momento in cui doveva continuare il punto. Attimi di sgomento e sguardi di tutti verso l’arbitro, che ha chiamato la fine della partita con da una parte una Konta quasi sollevata di non dover rigiocare, dall’altra Halep che solo in conferenza stampa dirà: “È impossibile che non si debba rigiocare un punto così”.

Kader Nouni non ha sbagliato, non c’era alcuna infrazione a livello di regolamento (è considerato “outside hindrace”)

però è brutto che un match così sia terminato a causa di qualche idiota sparso nel pubblico. Per girarla un po’: è stato tutto altamente WTA, con il “drama” fino all’ultimo atto dell’ultimo punto, con il numero 1 che scivola in questa maniera così assurda dalle mani di Halep a quelle di Karolina Pliskova.

A proposito della rumena, questo è il mese più difficile della sua carriera. Per tre volte su tre ha fallito l’occasione della vita, quella di diventare la prima donna della Romania a salire al numero 1 del mondo. Le occasioni, però, sono state troppe e troppo importanti per non pensare che sia solo malasorte. Il 6-4 3-0 e tre chance del 4-0 contro Jelena Ostapenko è la più dolorosa, perchè la prima, perché avvenuta in una finale Slam in uno stadio pieno zeppo di bandiere tricolori giallo-rosso-blu. Il 7-5 3-0 e servizio sprecato contro Caroline Wozniacki a Eastbourne rappresentavano un colpo “intermedio”, quando mentalmente forse non si era ancora recuperato dal gancio ricevuto precedentemente, ma la scoppola di oggi è forse il colpo finale. Lei, così come Karolina, sono due persone che fanno dell’onestà una delle qualità migliori. La ceca diceva, dopo la sconfitta contro Rybarikova: “Non auguro a nessuno di perdere”. Da leggere come: “Ho perso al secondo turno, se non divento numero 1 qui è solo giusto che sia di qualcun altra più meritevole di me”. Halep, dopo la sconfitta a Parigi, guardò il suo box e disse: “Dobbiamo rimetterci a lavorare, dobbiamo crederci”. Una, due, tre volte. Tre brusche cadute, tre rovinose sconfitte. Oggi è stata più vicina che mai, a soli 2 punti sul 5-4 e servizio nel tie-break del secondo set. Non è bastato.

Rischia ora di compromettere tutto quello che di buono ha fatto, soprattutto visto che nella Race al momento è ancora numero 1 con 200 punti di vantaggio proprio su Pliskova. Virginia Ruzici, sua mentore, al suo fianco in ogni momento della carriera, è l’unica tennista rumena ad aver vinto un titolo Slam (Roland Garros 1978). Anche oggi era nel suo box a supportarla e chissà se avrà pensato che forse quel talento che vide in Halep diversi anni fa non sia destinato, tristemente, a non vedersi mai realizzato. Non sarebbe la prima a terminare una carriera senza vittorie negli Slam, neppure a non arrivare al numero 1 del mondo nonostante le occasioni, ma il rimpianto al momento deve essere enorme.

Pliskova sorride, lei non può che reagire così. Al termine di questa giornata rocambolesca è lei ad assicurarsi il trono del tennis femminile. Per quanto tempo, non è ancora chiaro. Certo è, comunque, che questo traguardo lo avrebbe probabilmente meritato. La sua carriera è svoltata completamente dallo scorso Wimbledon, 12 mesi fa. Perse contro Misaki Doi, fallì l’approdo alla seconda settimana Slam per la diciassettesima volta di fila. Fu quello il momento in cui disse “basta” a tanti tornei di livello minore, cercando di impostare una stagione solo sui tornei importanti come deve fare una top-10. Saltò le Olimpiadi ed arrivò più fresca di tutte allo US Open, quando sfiorò il titolo. Al momento è una delle numeri 1 senza Slam in bacheca, ma è forse quella che ha le potenzialità più alte per riuscirci. Nel frattempo, ha lasciato un messaggio ai suoi fan su Instagram:

“Ricorderò per sempre la giornata odierna! Sebbene ora non stia celebrando una vittoria in campo, sono diventata la numero 1 del mondo. A dire la verità non riesco nemmeno a realizzare di aver ottenuto questo traguardo. Questo significa il mondo per me. Ho lavorato tantissimo, ed il mio team con me. Grazie a tutti i miei fan che hanno creduto in me, grazie anche a chi ha dubitato di me. Essere la numero 1 del mondo è per me una responsabilità enorme. Sono a conscenza di questo e posso promettere che farò di tutto per non deludervi. Spero di avere tanti successi. Una volta di più vorrei ringraziare la mia famiglia, il mio team e tutte le persone vicine a me. Senza di voi non sarei qui dove sono ora”.

Per tenacia e qualità ha già dimostrato di valere ampiamente le primissime posizioni: solo altre 8 giocatrici oltre a lei hanno superato le due Williams nello stesso Slam, tutte loro erano grandi campionesse. A New York diede la miglior versione del suo tennis, con due partite perfette contro Venus, prima, e Serena, poi. A fine anno il 16-14 contro Kristina Mladenovic in Fed Cup, le 4 ore nel primo giorno, le altre 4 nel secondo, il successo finale per 7-5 7-5 al doppio decisivo. Andremo incontro proprio a quel periodo e la ceca dovrà fare attenzione, perché tra un mese sarà già chiamata a difendersi visto che perderà 2100 punti tra Cincinnati e US Open. Non è finita qui per i cambi al vertice, adesso però è tempo per Karolina di godersi il momento. Lunga vita alla nuova regina, dunque, nella speranza che possa rispettare il peso e le responsabilità che quel trono comporta. Non è facile, ma lo sa bene anche lei.

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