Ace Cream: Caro Ubaldo, sogno con te ma anche tu commetti un errore

All'articolo di Scanagatta, su quanto potrebbero vincere oggi Pennetta e Vinci, Schiavone ed Errani, il direttore Daniele Azzolini aggiunge un nuovo (impossibile?) sogno: e se il tennis facesse a meno delle federazioni? E invita Ubaldo a non dimenticare l'esperienza di Riano

Caro Ubaldo, sei sulla china di Renzi, e per questo ti voglio quasi più bene. Come lui proponi immagini oniriche di come potrebbe essere (il tennis/l’Italia) trovando un muro di lettori/elettori pronti a scriverti dietro che hai sbagliato. Gliel’hai insegnato tu? Gliel’abbiamo insegnato noi, a essere così negativi nei nostri confronti? O è così per tutti, perché il disaccordo è nell’aria? Oppure hanno ragione loro e noi diciamo, scriviamo, solo cazzate?

Lascio a te la valutazione del caso (e se è il caso) e ti vengo in soccorso. Forse perché i percorsi onirici mi piacciono… Benedette ragazze, perché non siete nate dopo? Quanto avreste vinto? Quanti più titoli Slam avreste portato in Italia? … Meno invece i brutti risvegli, tipo “sì, se mia nonna avesse avuto quattro ruote sarebbe stata un carrettino”. E invece no, fai bene a tentare la carta del volo pindarico, anche perché toccando terra, come vedi, come sai, c’è il serio rischio di pestare qualcosa di poco simpatico, senza che necessariamente porti fortuna.

Ti do ragione. E per la parte sognata (le ragazze e i loro titoli dispersi in chissà quale dimensione quantistica, parallela alla nostra, e decisamente più ricca di titoli), e per la parte federale. Persino sulla Peppa… Questo per dirti anche che non sei il solo, nel tuo piccolo, a pensarla in un certo modo, anche se ami dirtelo. Nel mio piccolo ho scritto credo cento volte che la crisi cui stiamo andando incontro ha origini precise e un errore alla base, addirittura fondamentale. Meglio, letale…

Vero, il settore maschile è più esposto al fattore calcio, del resto, non viviamo in una Repubblica fondata sul pallone? Se nell’anno di grazia 2017 dieci giovanissimi atleti mostrassero doti fisiche e morali tali da avere la certezza di diventare, un giorno, dei campioni dello sport, quanti se ne prenderebbe il calcio? Sei? Sette? Tre resterebbero alle altre federazioni, che sono cinquanta. È una visione pessimistica, lo ammetto, ma anche no. Basta sottrarsi all’idea che le cose possano procedere solo in un modo.
Passo prima però, a una valutazione della situazione femminile. Qui, il fattore calcio pesa meno, è ovvio. E allora perché siamo in difficoltà anche in questo settore, dopo la messe di titoli e finali (Fed Cup, Slam, Tornei Premier, Classifica Wta) giunti “per grazia ricevuta” da Francesca, Sara, Flavia e Roberta? Tu che cosa avresti fatto Ubaldo? Non ti saresti impegnato in una campagna continua, mediatica, televisiva, di eventi in accordo con le scuole, per portare a tutte le bimbe d’Italia la lieta novella, e fare in modo che ognuna di loro tirasse la giacca al padre e – piangendo… – pronunciasse la fatidica frase: babbo, voglio giocare a tennis? Ecco l’errore letale cui mi riferivo.

E se provassimo invece a ipotizzare (si fa per sognare, no?) uno sport senza federazioni? Sì, lo so, non tutte le discipline possono farne a meno, ma quelle più professionalizzate sì. E in ogni caso, prendevo in considerazione solo il tennis, e i tennisti, da classifica mondiale, il tennis-mestiere. Ma ha davvero bisogno di una federazione? È una questione di soldi? Possono procurarseli direttamente dagli sponsor. Di tecnici, di medici, di coach? Nel circuito ce ne sono a bizzeffe, e non mi sembra siano peggiori di quelli federali.

Non solo, i più forti tendono ormai rapidamente a diventare aziende. Anomale, dato che il datore di lavoro è anche il prodotto da tenere il più a lungo possibile sul mercato; ma comunque aziende. E le aziende hanno il diritto di tracciare un loro percorso operativo, nel quale può rientrare o meno la Davis, questo o quel torneo, quella o quell’altra decisione. E nessuna di loro cambierà mai il proprio planning per il volere di una federazione.
Infine… Ma le federazioni, non hanno per statuto il doversi occupare dei circoli, del gioco dei giovanissimi e degli anziani, del benessere fisico degli italiani, e della possibilità che tutti possano praticare al meglio uno sport? Non ti sembra un compito già sufficientemente alto? Come vedi, tu sogni titoli che non potranno mai giungere, e io ti accompagno nel tuo sogno, per non lasciarti solo. Poi però sogno anche uno sport professionale senza federazioni. Se ti va di sognare con me, c’è uno strapuntino anche per te.

Ma tornando nella realtà, su una cosa sono costretto a darti torto, ammesso che non si tratti solo di una dimenticanza. Non citi, nel tuo sogno (pardon, articolo) l’esperienza vissuta a Riano. Federale, come sai, seppure osteggiata in parte all’interno della stessa federazione. Ma condotta da gente brava, ognuno per le sue qualità. Adriano, che tu conosci come lo conosco io, non sarà mai un coach propriamente detto (per dirla con lui… non gliene può fregare di meno), ma ancora oggi è uno che se guarda un giovane tennista ti sa dire se diventerà o meno un giocatore vero.

Lo stesso sa fare Bertolucci. A Riano c’erano anche Lombardi, Piatti, D’Adamo… Stabilirono un collegamento con i circoli, i migliori (più o meno) vennero a Riano per il provino. Da quella esperienza (e da ciò che mise in moto, compresa quella spinta centrifuga che portò via alcuni di loro) il tennis italiano ricevette tre giocatori nei primi venti (Camporese, Gaudenzi, Furlan), uno nei primi 30 (Caratti), uno poco sopra i 40 (Pescosolido, ma con due tornei vinti), uno nei 60 (Nargiso, che fu a lungo uno dei migliori doppisti in circolazione) e uno negli 80 (Pistolesi, diventato poi uno dei coach più ascoltati). Persino una semifinale e una finale di Davis, sfortunatissima come sai. Poi la federazione decise di porre fine a quel centro, che era a due passi da Roma. Ne fece uno a Cesenatico, chiamò Smid… La storia è questa. Giusto per ricordare, per ricordarti, che quando al timone si mettono quelli bravi, qualcosa si ottiene. E magari si può persino sognare a occhi aperti.
Abbracci, Daniele.

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