Agli Internazionali di Roma grandi incassi. Per il tennis rivolgersi altrove

Bilancio di una settimana agli Internazionali d'Italia: tanti soldi e poco tennis.

Prima delle finali degli Internazionali d’Italia è ormai abitudine consolidata convocare una conferenza stampa che serve a magnificare le grandi sorti e progressive del torneo capitolino. Si apre col gran cerimoniere, al secolo Ingegner Binaghi, che racconta che sono aumentati gli spettatori e che sono aumentati gli incassi. Poi è il turno di un qualche pezzo grosso del CONI (l’anno scorso addirittura il Presidente in persona, quest’anno il semplice vice segretario generale Carlo Mornati, che è uno di quelli che crede che parlare a bassa voce renda più autorevoli) e infine dell’immancabile Pietrangeli che, commosso, rievoca i suoi primi passi al Foro e poi ricorda i brutti tempi andati, quando manco riusciva a regalare i biglietti della finale, pover’uomo. Niente di male si dirà, non si chiede certo all’oste com’è il suo vino per sentirsi dire che non è buono e quindi cosa volete che faccia un povero presidente in carica da prima che Federer vincesse Wimbledon? Piuttosto si potrebbe dire qualcosa sull’idea che si ha di una conferenza stampa, più o meno megafono delle dichiarazioni di quello che altrove si definirebbe “classe dirigente temporanea” ma insomma non vale tanto la pena sottilizzare: era domenica, splendeva il sole, si era stanchi e iniziare una polemica no, non era certo il caso.

Però il torneo è stato uno strazio. Non c’è stata una partita una che valga la pena ricordare per più di cinque minuti, né nel torneo maschile né in quello femminile. La giornata delle semifinali è stata la peggiore dal 2008, quando erano stati costretti a ritirarsi sia Stepanek che Roddick, i big sono arrivati svuotati, in crisi, o di malavoglia. Con l’eccezione di Ljubic a Indian Wells e Nabaldian e Berdych a Bercy era dal 2003 che un giocatore con una testa di serie così bassa non vinceva un torneo di questo livello e per quanto Zverev abbia un grande futuro davanti è difficile considerarlo già un fuoriclasse, se a Monte-Carlo aveva racimolato solo un paio di game contro Nadal e a Madrid preso persino un 6-0 da Cuevas.
Le sorprese sono state praticamente inesistenti. Neanche la vittoria di Fognini su un Murray – che si è messo a seguire l’esempio di Djokovic, anche se lo scozzese sembra abbia un problema al polso non del tutto risolto – può essere considerata tale. E la sconfitta del giorno seguente alzi la mano chi non l’aveva prevista, persino in quei termini.  Anche le seconde file sono venute a Roma più per testare le proprie condizioni che per giocare seriamente. Forse il combinato del back-to-back con Madrid e la vicinanza col Roland Garros rendono complicato per i giocatori di vertice presentarsi a Roma in buona forma. Thiem dopo la vittoria contro Nadal è apparso del tutto apatico e in conferenza stampa non sembrava granché dispiaciuto; del Potro è sembrato sorpreso di aver battuto Nishikori, che a sua volta sta cercando il tennis (e il dritto) perduto vagando un po’ in giro per l’Europa (si è iscritto a Ginevra); Goffin sembra non essersi mai del tutto ripreso da quella chiamata di Mourier a Monte-Carlo, Berdych si sta avviando ad una serena chiusura di carriera e Kyrgios ha preferito andare a Lione piuttosto che venire a Roma.
E poi c’è Djokovic, che quanto meno sembra aver ripreso un po’ di quel furore che ha mostrato in giro fino al Roland Garros dello scorso anno, ha fatto vedere in finale che i suoi problemi sono lontanissimi dal poter essere considerati in via di risoluzione. E passare da Becker ad Agassi sembra un ulteriore bizzarria. Per quanto si debba essere molto cauti nel dare giudizi che esulino da quel rettangolo di 23,77 X 10,97 la sensazione è che Djokovic stia vivendo una sua complessa fase di maturazione che va al di là del tennis. Del resto il serbo compie proprio oggi 30 anni ed il passaggio da ragazzo che gioca a tennis a uomo e padre di famiglia non è certo lo stesso per tutti.

Insomma sarà un motivo, sarà un altro il torneo ha fatto vedere molto molto poco. E lo stesso Zverev a ben vedere non ha certo fugato tutti i dubbi. Che non avesse problemi di personalità lo sapevamo ma resta da vedere come reagirà a partite un po’ più complicate, e se davvero riuscirà a migliorare a rete. Come ha mostrato Thiem, che dopo la vittoria con Nadal è crollato con Djokovic, bisogna inquadrare nella giusta prospettiva la vittoria di Zverev, che difficilmente al Roland Garros, con tutti più agguerriti e convinti e con i match più lunghi potrà ripetete lo splendido risultato romano.

Il torneo femminile è stato forse migliore ma non di tanto. Semifinali e finali condizionate dagli infortuni, soliti andamenti imprevedibili, uscite premature di Kerber e Sharapova ma belle partite davvero poche.

Per quanto ci si possa consolare con i biglietti venduti sarebbe interessante vedere quanto l’incremento sia relativo ai due campi principali e quanto ai biglietti ground. Il motivo della curiosità è che l’organizzazione è stata abilissima a trasformare il torneo in una sorta di fiera alla quale si va per fare dei giri negli stand forse ancora di più che per vedere del tennis. Il centrale e la NextGen (sic) Arena non sono mai stati pieni, se non per la finale maschile, e rimane l’impressione che il tennis sia marginale rispetto al resto.
La vera differenza rispetto allo scorso anno è nell’aumentato numero di stand gastronomici che ormai occupano tutto l’occupabile, anche lo spazio tra i tornelli principali e il centrale, l’anno scorso del tutto libero e adesso occupato da una pedana che costringeva a fare una gimcana tra panzerotti, arancini (sic) e cuoppi per arrivare ad occupare il tuo posto, non prima di aver dovuto subire l’assalto del popcorn e degli hot dog.
Bravissimi nelle attività collaterali, le promozioni sanitarie, la presentazione di libri un po’ imprudenti, il paddle. Tutta roba che col tennis chissà cosa c’entra.
Se poi l’attività di marketing è così buona da trascinare persino il buon Presidente della Repubblica sugli spalti, solo qualche guastafeste può azzardarsi a sentire dei brividi, considerato il luogo in cui tutto questo si svolge.

I toni trionfalistici, che ormai stancamente sentiamo da qualche triennio, esulano completamente dallo stato comatoso del nostro tennis, attaccato alle bizze di un trentenne impermeabile a qualsiasi critica, beato lui, e con un settore femminile praticamente allo sbando. E se tra i ragazzi abbiamo una decina di virgulti che almeno riescono ad accedere alle qualificazioni tra le ragazze neanche quello. La sola Giorgi, pure lei in una fase complicata della carriera, riesce ogni tanto ad accedere ai tabelloni principali di qualche torneo.
E se anche si volesse sostenere, magari non senza troppi torti, che lo scopo di una federazione non è produrre campioni allora bisognerebbe capire quale sia, perché l’aumento dei tesserati è una sciocchezza e quello degli appassionati abbiamo visto a Roma di che natura sia.
Insomma un panorama che definire disastroso è il minimo e che provoca un curioso effetto di straniamento, nel momento che senti decantare i successi organizzativi.

Questa, ci sembra, la situazione oggi. Un tennis che ha bisogno di dire che Zverev è il fuoriclasse che aspettavamo, una federazione che pensa che tutto vada bene. A posto così.

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