13 aprile 2008: il primo sigillo sulla terra di “ClayPova”

"Sono come una mucca sul ghiaccio". Così si autodefinì Maria Sharapova quando le fu chiesto del perché sulla terra non rendesse come altrove. Poi, ad Ameliè Island, la maledizione si spezzò.

Per tutta la prima parte della sua carriera, Maria Sharapova si è auto-definitiva una “mucca sul ghiaccio” per descrivere le sue capacità di giocare sulla terra battuta. Questo, almeno, prima del grave infortunio alla spalla che la tenne ferma per quasi un anno tra estate 2008 ed inizio primavera 2009. In quel periodo di stop la russa allenò tantissimo la risposta, imparò a comportarsi meglio, a scivolare su quel terreno per lei prima così ostile, e da quando è rientrata ha ottenuto risultati mai toccati prima. A Parigi, ad esempio, tra il 2011 ed il 2014 è sempre arrivata in semifinale, vincendo le edizioni del 2012 e del 2014 e perdendo la finale del 2013. A Madrid (Premier Mandatory) ha fatto almeno semifinale nelle ultime 3 edizioni a cui ha preso parte (2013-2015) vincendo nel 2013 e facendo finale nel 2014. A Roma (Premier 5), ha vinto per 3 volte dal 2011 al 2015. In generale, 10 dei suoi 16 successi dal rientro nel 2009 furono proprio sulla terra battuta, ribaltando il trend di prima che invece aveva visto appena 1 titolo su 19.

L’unico alloro fu anche l’ultimo, il diciannovesimo, prima della lunga pausa. Si giocava sulla terra verde di Amelié Island, torneo bellissimo perché vedeva il campo centrale incastrato in mezzo agli alberi del resort della Florida, a 2 passi dal mare.

Il 13 aprile di 9 anni fa la finale vedeva contro Maria Sharapova ed una giovanissima Dominika Cibulkova, all’epoca neppure diciannovenne (li avrebbe compiuti il 6 maggio). Veniva da un tabellone abbastanza complicato, lei che partiva come prima favorita del seeding e con un bye al primo turno, perché se è vero che in semifinale aveva usufruito di un walkover da Lindsay Davenport, tra ottavi e quarti di finale aveva dovuto emergere da due autentiche maratone prima contro Anabel Medina Garrigues (7-6 5-7 7-6) e poi contro Alona Bondarenko (6-7 6-3 6-2). Cibulkova, non compresa tra le teste di serie, aveva eliminato in successione la qualficata Anastasia Rodionova, Victoria Azarenka (numero 14 del seeding, 7-5 4-6 6-2), Anna Chakvetadze (numero 2, 6-2 3-6 6-1) ed Amelié Mauresmo (numero 11, 6-1 7-6) prima di emergere da una semfiinale tiratissima contro quell’Alizé Cornet che poi, nel giro di un mese, avrebbe sorpreso tutti al Foro Italico raggiungendo la finale.

Il primo set fu tiratissimo, giocato da subito ad alti livelli. Sharapova è stata per 3 volte avanti di un break, ma Cibulkova non ha mai avuto cali in risposta aggredendo costantemente l’avversaria e riuscendo ad andare avanti fino al 4-2 nel tie-break. Un punto spettacolare della russa l’ha riportata in parità, prima di chiudere al secondo set point.

Nel secondo set Cibulkova ha provato a girare l’inerzia del match salvandosi prima da 15-30 e poi prendendo un break di vantaggio. Dall’1-2, però, sono arrivati 4 game della russa che sul 5-3 ha poi chiuso il match al primo match point.

A luglio di quell’anno le verrà diagnosticato un grave problema alla spalla che la affliggeva proprio da quel mese di aprile. Verrà costretta a cancellarsi da tutti i tornei rimasti comprese le Olimpiadi di Pechino. Rientrerà solo a Varsavia, a metà maggio 2009, e pochi giorni dopo, al Roland Garros, da oltre il numero 120 del mondo sarà in grado di arrivare fino ai quarti di finale. A fermarla, scherzo del destino, proprio Cibulkova che rischiò quasi di infliggerle un 6-0 6-0. Quando la slovacca si ritrovò a servire per il match, Sharapova ebbe un moto di reazione che la vide riprendere però solo 2 dei 5 game di ritardo. Fu la prima semifinale Slam per Cibulkova, che per la prima volta entrò in top-20. In quei 2 tornei, però, Sharapova cancellò definitivamente dalla memoria collettiva l’etichetta di “mucca sul ghiaccio” e per tutti (i nerd, in senso più che mai affettivo) divenne solo e soltanto “ClayPova”.

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