Il vostro Australian Open

Insieme al primo slam della stagione cominciano le sofferenze dei tifosi. Chiunque vinca sarà un insuccesso.

Ormai ci siamo. Come ogni anno l’attesa è finita e come sempre tutti gli appassionati, in modi più o meno diversi, si avvicinano al primo vero importante evento della stagione. Dopo mesi di attesa infagottati di feste, celebrazioni post stagionali, esibizioni talvolta persino stucchevoli per la loro utilità tecnica e primi tornei-antipasto arriva il primo slam. E come ogni anno si riaccendono speranze, si aprono finestre di incertezze, domande sulla condizione di questo o quel tennista e come con la nazionale ai mondiali tutti diventano scienziati tennistici ribadendo i propri concetti, idee e illusioni a voce alta sbattendo il gomito sul bancone del bar. E visto il modo in cui di solito l’Australian Open delinea già in maniera netta l’andazzo dell’intera stagione, il fenomeno ha un riscontro ancora maggiore, non solo tra gli esperti ma soprattutto tra i tifosi, che lo vivono con un misto di trepidazione e frenesia, in bilico tra la speranza e il crollo nell’oblio. Un po’ come andare a fare jogging e credere nella casualità di trovare cinquanta euro o pensare di vedere un kolossal e ritrovarsi davanti a un documentario sui cavallucci marini.

“Che stagione sarà? Porterà qualcosa di nuovo? Macché, sempre la stessa solfa… Tanto vincono sempre i soliti… E se vincesse un giovane per una volta? Ma no, e poi si vedrebbe sempre il solito tamburello da fondo campo… Eh ma il serve and volley è morto, che vuoi farci… Ah ma Federer… Eh ma Djokovic… E poi rientra Nadal… Ma Serena tornerà quella di una volta… ” E al di là dei commenti resta da capire chi si aspetti cosa… Ci saranno sicuramente i puri appassionati di tennis, quelli veri, gli angeli asessuati che vivono solo del mero sport senza prendere né arti né parti (sono più o meno in sette, forse, a vederla larga) che in maniera quasi asettica vogliono solo vedere il tennis giocato e non gli scambi da oratorio tra una risata e l’altra della Hopman Cup o i primi tornei rodaggio. Il tifoso malato ma obiettivo li invidia nel profondo, quello cieco li accusa della più bassa ipocrisia. Entrando invece nello sfondo del tifo ci troveremo poi di fronte alle diverse tipologie di tifoso (prevalentemente maschili), che ormai esistono da anni e non cambiano mai e che ogni anno a gennaio rigonfiano il proprio zaino di convinzioni più o meno solide.

Il federasta. Speranzoso che il grande eroe decaduto, come l’araba fenice, risorgerà ancora dalle ceneri, ha più fede di un martire sulla croce ed è pronto a soffrire le pene più dure, pur sapendo che in meno di due settimane potrebbe vedere deluse le speranze di un intero 2017. In questa sezione si varia dal tifoso conscio delle difficoltà, che spesso cerca di convincersi della prospettiva peggiore per non restarci male dopo, fino allo sfegatato convinto, il quale poi o andrà nudo per la strada in caso di successo o cercherà di dare la colpa a tutto e a tutti, compreso il non goal di Muntari. Aggiungiamo a questi ultimi i pessimisti (“Perderà appena trova uno degli altri Fab4”) e i pessimisti-masochisti (“Perderà in finale contro Nadal o Djokovic dopo aver sciupato 16 match point sul suo servizio”).

Il nadaliano. Esiste ancora, anche se magari è solo in letargo. Non essendo riuscito a trovare una nuova fede nelle nuove versioni serbo-britanniche o nuovi idoli, preferisce non pronunciarsi. Alla fine è un federasta con un poster diverso davanti agli occhi e con pause più lunghe. Niente di più.

Il roboNole-fan. Vuole rifarsi delle delusioni estive e aspetta questo momento da Giugno, pronto a rimarcare il territorio in vista di un nuovo anno da primattore ridisegnando sulle bandierine il “N1le”. Se Nole vincerà il titolo scriverà sulla sua bacheca inni al prossimo inevitabile Grande Slam; se perderà entrerà in crisi apoplettica fino a Parigi.

Il bretone. In crescendo, si sente sotto pressione per via del numero uno sulla testa e trema al pensiero di essere burlato (e bullato) dai sovra citati. Se vincerà si rimetterà la corona in testa e farà ruotare regalmente la manina in aria declamando il baronetto eroe del Regno Unito. Se perderà, Murray tornerà a essere lo scozzese altalenante neanche lontano cugino di secondo grado del verduraio della Regina Elisabetta.

I “delpotreschi”. Sostengono il buon Juan Martín per l’ennesima volta in sua assenza criticando gli altri, astenendosi dal preferire qualcun altro per poi criticare il torneo per due settimane perché Delpo semplicemente non c’è.

A queste principali tipologie di tifoso, che da dieci anni a questa parte sono costituite principalmente dai seguaci dei Fab4, fanno compagnia una bella varietà di appassionati, più o meno fanatici.

I disperati. Sperano ancora di vedere Stepanek o Haas vincere uno slam.

I “Bastian Contrari”. Quelli che troveranno un modo per lamentarsi anche se dovesse vincere Madre Teresa di Calcutta o un cane a tre zampe malato terminale di Alzheimer. Tiferanno Perdasco e Perdych solo per vederli fallire e pur sapendo che il loro gioco li fa vomitare. Se vincesse uno dei Fab 4, apriti cielo. Se vincesse un pallettaro, risponderanno “La solita noia”. Trionfasse Wawrinka diranno che è solo un troll inutile. Vincesse un volto nuovo ne criticheranno o il gioco, o il comportamento, o lo staff o il completino succinto o il numero di telefono di cellulare con la successione 352 dentro. I più pragmatici tra questi si rifugeranno in un “Se ci fosse stato del Potro…” per poi lamentarsi anche di lui a Parigi.

Quelli che “guardo il femminile perché i maschi fanno solo a pallate da fondo”. Cercare psicologo bravo.

Poi ci sono gli jettatori e i cronisti, quelli che sperano che vada tutto storto, che vinca il meteorite caduto sullo stadio nella notte o che sperano che tutte le 32 teste di serie vadano fuori al primo turno per farci il pezzone scoop il giorno dopo (o solo per farsi due risate).

Infine troviamo forse i più sfigati di tutti: i puristi. Setta quasi estinta di religiosi eremiti che rimpiangono e rimpiangeranno sempre i tempi di Navratilova, Novotna, degli Edberg, dei Becker e dei Sampras e Rafter, di quando si andava a rete ogni due colpi e ogni dritto era un attacco. Loro soffriranno in eterno. Magari si attaccheranno a una SABR di Federer per illudersi di una fuggevole visione del tempo che fu, per poi ripiombare nell’oblio dell’odiato tennis fisico odierno, che seguono nonostante tutto, criticandolo quasi come il Bastian Contrario ma restando nella sua condizione più frustrata. Speravano in una stagione diversa (e lo fanno da circa 10 anni) e dopo le prime due settimane si renderanno conto che non sarà cambiato niente, rasentando istinti suicidi o cercando interesse nello snooker su Eurosport.

Insomma, chi più chi meno comincerà le sue sofferenze tennistiche da lunedì, per incanalare il proprio 2017. La ragione lascerà posto alla passione e in un attimo ci troveremo sommersi da sentenze che occuperanno la nostra mente da qui fino a novembre.

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