Melbourne, oh cara

Alla scoperta degli Australian Open, visti con gli occhi dell’inviato.

Il brutto anatroccolo
Terminate le feste natalizie, per l’inviato è il momento di preparare le valigie. Destinazione Melbourne, Australia. Un volo impegnativo di oltre 24 ore per coprire i 20.000 chilometri che ci separano dall’estate di Down Under, il continente ‘sottosopra’ dall’altra parte del mondo. L’appuntamento è con l’atteso primo Slam dell’anno che fino a metà degli anni ’80 era una sorta di brutto anatroccolo al confronto degli altri tre Major. Lo spostamento della data di svolgimento da dicembre a gennaio, avvenuta nel 1987, il trasferimento l’anno successivo dall’erba del vecchio Kooyong al Rebound Ace (dal 2008 si gioca sul Plexicushion) del nuovo impianto di Flinders Park, lo hanno trasformato in cigno. Impianti all’avanguardia, un’organizzazione perfetta, una metropoli giovane e moderna a dimensione d’uomo che è da tempo considerata la prima al mondo per qualità della vita (secondo la tradizionale classifica annuale stilata dall’Economist). Se aggiungiamo il sole, il mare, le bellezze naturali, la cordialità della gente, è facile comprendere come il torneo australiano sia diventato uno tra i preferiti dai giocatori e dai media.

Tre tetti, ma non piove
Dal 1988 gli Australian Open hanno la loro dimora nello stupendo impianto di Melbourne Park (noto come Flinders Park fino al 1990) situato a sud est di Melbourne in un’immensa area verde di 40 ettari costeggiata dal fiume Yarra e che comprende anche l’adiacente Olimpic Park con l’AAMI Park dalla caratteristica cupola geodetica, stadio rettangolare da 30.000 posti consacrato al rugby e al calcio. Separato dai binari della ferrovia, lo Yarra Park con il maestoso Melbourne Cricket Ground, 100.000 posti a sedere, che ospita principalmente il cricket e il seguitissimo football australiano. Il campo centrale è la magnifica Rod Laver Arena, 15.000 posti a sedere da ciascuno dei quali si vede perfettamente. La RLA è dotata di tetto retrattile utilizzato maggiormente durante le giornate in cui la temperatura elevata e l’afa diventano insopportabili, che per le rarissime precipitazioni.

Il secondo campo è l’Hisense Arena, 10.000 posti e anch’essa dotata di copertura mobile, dove si gioca solo durante la prima settimana. Adiacente alla RLA sorge la Margaret Court Arena, 7.500 spettatori, che nel 2015 ha inaugurato il tetto mobile. Tre campi dotati di copertura, da far impallidire gli altri Major, soprattutto il Roland Garros che ne è completamente sprovvisto. Altri due show court – il 2 e il 3 – ciascuno con una capacità di 3.000 posti, confinano con la Margaret Court Arena. Completano l’impianto di Melbourne Park: 24 campi utilizzati per i match e per gli allenamenti, 12 campi indoor e, chi l’avrebbe mai detto, 8 campi in terra battuta. Su questi ultimi si sono allenati nel 2014 gli azzurri di Davis prima della trasferta in Argentina.

Full Metal Jacket
La mattina, per godere appieno della città, è preferibile raggiungere Melbourne Park a piedi. Venendo da nord – dal centro città – si arriva a Federation Square, cuore pulsante di Melbourne, un suggestivo mix architetturale con Flinders Station e la cattedrale di Saint Paul, edificati intorno alla metà del 19° secolo (Melbourne è stata fondata solo nel 1835), che fronteggiano avveniristici edifici che ospitano musei, gallerie, e attrazioni. Costeggiando il fiume Yarra, si attraversa il Birrarung Marr Park dove è possibile imbattersi in centinaia di giovani festanti, la maggior parte a torso nudo, che ballano e bevono fiumi di birra. Tra loro qualche vistosa Drag Queen. È il Midsumma Festival, una delle più importanti manifestazioni gay che si svolge proprio durante gli Australian Open.

Se proveniamo da sud possiamo concederci una suggestiva passeggiata attraverso i Royal Botanic Gardens ammirando numerosi esemplari di piante e fiori tipiche del quinto continente. Dalla sommità di una collina domina il parco lo Shrine of Remembrance, enorme mausoleo edificato in memoria dei 100.000 soldati australiani caduti nelle due guerre mondiali. Improvvisamente può capitare di sentire in lontananza la marcia dei marines resa famosa dal film Full Metal Jacket: ”Mama and Papa were laying in bed, Mama rolled over, this is what she said”. Ecco che arriva di corsa un novello sergente Hartman seguito da un plotone composto da una ventina di uomini e donne di età variegata che sbuffano come “Palla di Lardo” nel film di Kubrick. Stanno praticando il Bootcamp, l’allenamento stile marines, molto diffuso in Australia come attività di fitness all’aperto.

A tutta adrenalina
La giornata tipo dell’inviato a Melbourne prevede l’arrivo verso le 10 nella Media Work Room, ubicata al piano terra della RLA, un’ora prima dell’avvio del programma di gioco. Le postazioni di lavoro, in tutto 262, sono dotate di un monitor che consente di seguire in diretta i match, le conferenze stampa, selezionare e rivedere ciascun punto degli incontri principali, accedere a ogni tipo di statistica sulle partite e informazioni sui giocatori. I desk dei giornalisti italiani sono solitamente disposti uno accanto all’altro. Dopo un caffè abbastanza improponibile al distributore automatico presente in sala stampa, è d’uopo una sfogliata veloce ai giornali locali disponibili (Herald Sun, The Age, The Australian) per poi passare all’analisi del programma giornaliero con la definizione di una scaletta degli incontri da seguire. La prima settimana di uno Slam è sempre molto impegnativa per un giornalista, a Melbourne ancora di più poiché i primi 2-3 giorni sei ancora sotto l’effetto del jet lag con 10 ore di fuso orario da assorbire. Tanti incontri da seguire con i giocatori italiani programmati in contemporanea in campi spesso molto distanti tra loro, conferenze post match che si accavallano, pezzi da scrivere, interviste da scaricare.

Alle 17 l’unico momento in cui quasi tutti i giornalisti e i fotografi si fermano e si dirigono nel piccolo giardino davanti alla sala stampa. È l’ora del tradizionale buffet offerto dall’organizzazione. Si forma una lunga coda disciplinata per riempirsi il piatto di sandwich, pollo fritto, hamburger, involtini primavera e, soprattutto, rinfrescarsi con una birra gelata. Agli Australian Open, complice anche la stagione estiva, l’abbigliamento è decisamente informale. Molti colleghi in maglietta, calzoncini e infradito. A Wimbledon o a Parigi rischieresti il ritiro dell’accredito. Con il programma serale riesci finalmente a seguire gli incontri in modo più rilassato con due soli incontri sulla Rod Laver. L’inconveniente della sessione serale è il protrarsi dei match fino a notte fonda. Tra aspettare i giocatori in sala interviste e scrivere il pezzo, non vai mai a dormire prima delle 2, praticamente 17 ore dopo aver lasciato l’appartamento. Un bel tour de force, fisico e psichico, bilanciato ampiamente dalla grande passione per il tennis e dall’adrenalina che solo l’atmosfera di uno Slam ti sa dare. Il record di veglia è stato dopo la memorabile finale del 2012 tra Djokovic e Nadal, una battaglia di 5 ore e 53 minuti, che ci costrinse ad andare a letto ben oltre le 5 del mattino.

A tu per tu
Rispetto agli altri Slam, a Melbourne è più frequente incrociare i tennisti al di fuori dei momenti formali. Gli ambienti riservati ai giocatori sono infatti contigui alla sala stampa e hanno vie d’accesso comuni. Nei corridoi ti può quindi capitare di scambiare con loro un saluto e qualche parola di cortesia. Anche l’ascensore che dalle tribune della RLA ti riporta al piano terreno può riservare piacevoli incontri con lo staff e i familiari dei giocatori. Due battute con lo Zio Toni, i complimenti a Mirka per la prestazione del marito, un saluto a Richard Williams. Al termine della giornata può anche capitare di condividere un’auto della transportation con Mats Wilander o con Stan Wawrinka. Molto più difficile avvicinare i Fab Four, circondati sempre dal loro numeroso entourage. L’occasione migliore è attenderli al termine dell’allenamento che di solito effettuano nei due campi più vicini alla RLA, il 16 e il 17, collegati allo spogliatoio da un corridoio non aperto al pubblico ma accessibile ai media. Un selfie non si può negare.

Melbourne e dintorni
La rete tranviaria (Yarra Trams), la più estesa al mondo con i suoi 250 km di binari, è uno dei fiori all’occhiello di Melbourne. Tram numerosi, puliti, puntuali che coprono capillarmente la vasta area metropolitana. I giornalisti accreditati hanno accesso gratuito su tutta la rete durante lo svolgimento degli Australian Open. Comodissima per raggiungere le maggiori attrazioni di Melbourne, con i colleghi la utilizziamo spesso negli ultimi giorni dello Slam, quando il tempo libero è maggiore, per raggiungere a sud l’elegante località balneare di Santa Kilda con la sua lunga spiaggia su cui si affacciano stupende ville vittoriane. Il mare di Melbourne è in realtà la grande baia di Port Phillip con acque temperate e poco profonde che la rendono sicura dagli squali. Un bagno è d’obbligo con il pensiero al nostro rigido gennaio italiano. Un ‘must’ anche una visita all’Aquarium (imperdibili la stanza dei pinguini e quella degli squali), all’Eureka Tower (mozzafiato la vista dall’89° piano), allo Zoo (canguri, koala, wombat, suricata, lemuri, ecc.). Noleggiare un’auto – guida rigorosamente a sinistra – e percorrere la Great Ocean Road, la strada panoramica con una vista mozzafiato sull’Oceano, è un’esperienza quasi mistica. Dopo quasi quattro ore si raggiungono gli spettacolari Dodici Apostoli, faraglioni alti quasi 50 metri che sbucano dal mare a pochi metri dalla costa, una meraviglia della natura.

Ci vuole un fisico bestiale
Gli Australian Open vengono sempre associati al gran caldo. Le temperature possono infatti superare i 40° con un’aria afosa che impedisce di respirare. È anche vero che improvvisamente può iniziare a soffiare un gelido vento da sud proveniente dall’Antartico che fa crollare la temperatura anche di 30°. Melbourne non ha infatti barriere naturali che la proteggono, a sud dall’Oceano Indiano, a nord dall’Outback, il deserto australiano. Pertanto capita spesso di iniziare la giornata in calzoncini e maniche corte e chiuderla in felpa e giubbotto. A Melbourne dicono di avere “four seasons in one day”.

La vicinanza al mare popola il cielo di gabbiani che, a caccia delle prelibate cavallette che nelle serate più calde escono da ogni dove, planano sui campi secondari ricoprendoli del proprio guano. Per scongiurare tale pericolo gli organizzatori hanno ingaggiato alcuni falconieri che con il loro rapace sul pugno guantato passeggiano lungo i vialetti che dividono i campi. I gabbiani si dispongono così, in una fila interminabile, sopra i tubi che compongono la struttura del tetto della RLA. Spettatori non paganti della sessione serale. Ma il vero spettacolo sulla RLA si ha quando scendono in campo i beniamini locali. Si sfoga allora il tifo colorato e scenico del Fanatics, i supporter australiani organizzati che seguono ovunque i giocatori aussie. Non è mai un tifo sguaiato, becero. I Fanatics, rigorosamente in gialloverde dalla testa ai piedi, preparano a lungo le canzoni e le scene che proporranno. Nulla è lasciato al caso.

Il 26 gennaio si celebra l’Australia Day, festa nazionale. Nell’occasione, verso le 21, il match in corso sulla RLA viene sospeso per una decina di minuti per assistere allo stupendo spettacolo pirotecnico che illumina il cielo di Melbourne. Dopo circa un’ora che è terminata la sessione notturna, squadre di pulizia ripuliscono in modo scrupoloso la RLA per renderla pronta per la mattina successiva. È il momento giusto, con gli addetti alla sicurezza che allentano i controlli, per intrufolarsi all’interno del campo altrimenti off limits per farsi delle foto con i colleghi immaginando che emozione debba essere giocare in quel palcoscenico. Durante gli ultimi giorni dello Slam anche i giornalisti riescono a calcare i campi secondari, con alcuni spettatori che si avvicinano per poi ritirarsi velocemente appena visto il pessimo livello di gioco. Una mezz’ora di gioco ci dà già la conferma che il Plexicushion è davvero lento e che per giocare nel primo pomeriggio sotto il sole australiano ci vuole davvero un fisico bestiale e un dito di crema solare sulle parti di corpo scoperte. Nonostante tutto, lo spazio in valigia per la racchetta va sempre trovato.

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