L’Australian Open di quelli che non hanno età

Serena e Venus Williams, Mirjana Lucic Baroni, Roger Federer. 4 semifinalisti su 8 all'Australian Open hanno almeno 35 anni, ognuno con un passato diverso, ma guai a dir loro che siano finiti.

L’Australian Open cambia le carte in tavola. Da che sembrava potesse essere il torneo delle scoperte, dei volti nuovi e dei giovani, in semifinale ci ritroviamo con 4 giocatori su 8, tra maschile e femminile, con almeno 35 anni:

  • Venus Williams, classe 1980.
  • Serena Williams, classe 1981.
  • Roger Federer, classe 1981.
  • Mirjana Lucic Baroni, classe 1982.

Quattro personaggi in cerca di un sogno: mettere le mani sul trofeo di campione e campionessa dell’Australian Open. Per ognuno di loro avrebbe un sapore speciale.

Per Venus sarebbe il primo dal 2008, appena prima che cominciarono i suoi problemi di salute che per tanti anni la debilitarono fino a farla uscire dalle prime 100 del mondo (137 nel febbraio 2012). Per la sorella Serena vorrebbe dire il superamento di Steffi Graf come numero di Major conquistati (23 contro 22) ed il ritorno al numero 1 del mondo. Per lo svizzero coronerebbe un rientro nel tennis vero (togliamo esibizioni o cose simili) condito da prestazioni quasi perfette dal terzo turno in poi, oltre a tutti i significati che si celano dietro lo Slam numero 18. Per la croata, infine, vorrebbe dire il mondo, semplicemente.

Quattro personaggi hanno molto da insegnare. Storie diverse, vite diverse, percorsi alle volte diametralmente opposti. Se per quanto riguarda Federer e le due Williams il traguardo della semifinale non è che una piccola goccia che rende ancor più gloriosa la carriera avuta, per Lucic Baroni si tratta di un risultato a cui, come diceva oggi in conferenza stampa, non credeva più nessuno se non la mamma, il marito e pochi altri oltre a lei. Ma farlo ora, ad ormai 35 anni, rende il tutto ancor più speciale. Farlo avendo battuto la numero 3 (Agnieszka Radwanksa) e la numero 5 del mondo (Karolina Pliskova) a suon di vincenti è il contorno perfetto.

È venuto da sorridere un po’ a tutti, in sala stampa, quando è iniziato a comparire tra i vari computer il tweet di Elena Vesnina, che diceva di star piangendo per tutto il terminal di Hong Kong per il risultato della croata. Lei, però, è solo una delle tante persone che ha reso omaggio a questo traguardo di una giocatrice così sfortunata. Una storia che non può lasciare indifferenti, c’è poco da fare, e che porterà la croata a migliorare un best ranking datato luglio 1999, alzando l’asticella da numero 32 a numero 29 del mondo. Almeno.

A sfortune, anche Venus avrebbe qualcosa da ridire visto che per 5 anni ha dovuto ridurre drasticamente gli allenamenti ed a giocare senza essere in condizione a causa di una sindrome dal nome quasi impronunciabile, Sjögren, di natura autoimmune reumatica che debilita il corpo e non permette di giocare. Negli ultimi 2 anni ha imparato a gestirla e la sua risalita nel ranking si è stabilizzata attorno alle prime 20, ma questa è la seconda semifinale negli ultimi 3 Slam. Sia a Wimbledon che qui non ha dovuto superare ostacoli terribili: sull’erba la giocatrice più alta battuta fu Carla Suarez Navarro, n.12 al mondo (che non ama particolarmente il mese di giugno…) con una media ranking di 73,6; sul cemento di Melbourne la giocatrice più alta battuta è Anastasia Pavlyuchenkova, n.27 al mondo con una media ranking che si alza addirittura a 101,6 considerate ben 3 giocatrici fuori dalle prime 100 e Duan Ying Ying numero 87. Le difficoltà ci sono, perché quando viene spostata tende a cedere sempre più campo, però è comunque ammirevole vedere come rimane attaccata a questo gioco nonostante l’età ed i tanti problemi che deve fronteggiare.

Lei e la sorella hanno spinto una generazione di giovani statunitensi ad appassionarsi a questo sport. Nonostante non siano state le prime atlete di colore (ci fu un certo Artur Ashe, ad esempio), rappresentano sempre due ragazze che si sono battute per uscire da Compton, cittadina riconosciuta da anni come una delle più difficili degli interi USA, allenandosi ogni giorno a sopravvivere, oltre che a colpire dritti e rovesci.

Serena e Roger, i due massimi esponenti del tennis degli ultimi 15 anni, i giocatori con più successi tra tutti quelli che hanno attraversato questo lasso di tempo, capaci di abbattere record su record. Passano gli anni, siamo lì a riflettere su come fisicamente non possano più essere prestanti come un tempo, eppure ad inizio 2017 (loro che sono coetanei) li ritroviamo ancora tra i migliori 4 dei rispettivi tabelloni del primo Major. 41 semifinali per lo svizzero su 68 Slam, 34 per la statunitense su 66. Alle volte i numeri sembrano solo dettagli, qui sono degli indicatori essenziali per capire la grandezza dei due sotto altri punti di vista.

Chi di loro, in questi anni, non si è sentito dire rivolgere una volta “ma che continui a fare?”. La croata è tornata a giocare quando aveva perso i migliori anni della sua vita, ha lottato duramente e perso un’enormità di partite, ma alla fine, con enorme testardaggine, ha visto ripagati tutti i suoi sforzi. Venus ha avuto una grande carriera, perché continuare quando il fisico non dava più garanzie? Serena? Ha avuto un’embolia nel 2011, ha perso da Virgine Razzano al primo turno di Parigi nel 2012, ha perso l’incredibile chance di completare il Grande Slam nel 2015 contro una giocatrice da cui non aveva mai perso più di 4 game. Federer? Per tutti lui è finito nel 2008, poi nel 2010, poi nel 2013, poi nel 2016… Non c’è nulla da fare: alla fine hanno avuto ragione loro, quelli che non hanno età e che comunque andrà non si fermeranno mai.

Dalla stessa categoria