La gioia di Radwanska, il cuore di Kvitova, il ritiro di Pennetta (e tanto altro): cosa resta delle WTA Finals

TENNIS – Di Diego Barbiani

Qualcuno si chiedeva, alla vigilia, che spettacolo potesse offrire il Master femminile orfano della sua stella principale, Serena Williams, che tra scoop e contro-scoop passa un giorno da un matrimonio all’altro in cui attende un bambino.

Ebbene, e non vuole essere un giudizio che va contro la statunitense, lo spettacolo è stato tanto, forse doppio o triplo di quello ammirato nelle ultime edizioni. Il successo di Agnieszka Radwanska non fa altro che aumentare questa sensazione e già prima della finale questo torneo poteva passare alla storia per alcuni motivi: 1) per aver visto la prima polacca giungere in finale e vincere il torneo, 2) per aver avuto la prima finale tra giocatrici/giocatori che avevano vinto una sola partita nel girone, 3) per aver trovato la prima giocatrice in assoluto tra uomini e donne (nella fattispecie proprio Radwanska) a vincere il torneo dopo essersi trovata in una situazione così delicata nel Round Robin.

Tifo o meno, viene da essere in empatia con la giocatrice di Cracovia, in top-10 dal 2008 e con il picco raggiunto al n.2 nel 2011, anno della finale a Wimbledon. Non bastasse la statura, che la vede costretta a subire centimetri e potenza in meno rispetto a quasi tutte le giocatrici che le hanno fatto compagnia nell’élite mondiale in questi anni, c’è quell’eleganza nel sorprendere avversari e pubblico con soluzioni di fino come le tante messe in mostra solo nella settimana di Singapore. Giocatrice particolare, che probabilmente ha sofferto questa sensazione di essere 1-2-3-5 gradini sotto rispetto a tutte le altre più titolate avversarie. Elegante, ma spesso troppo leggera per giocarsi a pieno le sue carte contro le più forti. Mette tenerezza quando la si vede che va contro una Serena Williams, o una Maria Sharapova, o una Petra Kvitova, o anche una Garbine Muguruza, solo con la forza dell’intelligenza e del suo estro. Diversamente, però, non avrebbe modo di resistere a quello che diventerebbe un bombardamento continuo.

E’ riuscita in un capolavoro, è giusto e doveroso rendergliene atto, al di là delle discussioni possibili sul Round Robin. Ci sono state alcune critiche perché chi si è aggiudicata solo una partita su tre ha poi raggiunto l’ultimo atto. Questa però è una questione piuttosto datata e sterile. Soprattutto, se una delle quattro arriva in semifinale con tre successi in altrettanti incontri è logico che la seconda ne abbia solo uno. Cosa direbbe allora Murray, che nel Master di Londra nel 2009 rimase escluso dalle semifinali vincendo due partite su tre come Federer e Del Potro, lo stesso numero di set dei primi due, ma aveva la differenza game di un punto in meno dell’argentino (secondo) e tre in meno dello svizzero (primo)? Alla fine, chi si qualifica in semifinale va considerato allo stesso livello. Vincere 1-2-3 partite non cambia, se non a livello economico e di punti conquistati nel ranking. Poi, riprendendo uno ad uno i match del girone, si scopre che Muguruza abbia scelto (giustamente) di giocare fino alla fine anche la terza partita (7-5 su Kvitova in tre set) perché perdendo sarebbe arrivata seconda, costretta dunque ad andare subito contro Sharapova. Fatalità, Radwanska ha vinto la più bella partita della sua stagione contro di lei. Stessa cosa vale per Sharapova: avesse perso contro Pennetta sarebbe arrivata seconda, costretta subito a giocare contro la spagnola, in assoluto la migliore fino a quel momento. Fatalità, nella semifinale contro Kvitova ha perso il match mancando un vantaggio di 5-1 0-30 nel secondo parziale.

Tornando a Radwanska, quante volte nel corso di questi anni l’abbiamo vista crollare in momenti delicati della partita? Innumerevoli. Come se le sue spalle così gracili non reggessero la tensione di un arrivo in volata, o di una grande colpitrice dall’altro lato della rete che mette tutta la pressione del mondo avanzando in risposta per approfittare di un servizio che alla fine è l’unico vero neo del suo gioco, legittimo con un’altezza che a fatica supera il metro e settanta e fatica ad arrivare a sessanta chili. Però ha coraggio e determinazione, perché non deve essere stato semplice andare da Martina Navratilova e dirle ‘basta, io e te non possiamo più lavorare insieme’. Proprio il sodalizio con la campionessa ceca aveva aperto il suo 2015. C’è una foto su Twitter caricata ad inizio dicembre dello scorso anno: loro due che annunciavano l’inizio della collaborazione. La polacca sperava che la sua supervisione potesse darle qualche miglioramento per raggiungere il suo obiettivo: trionfare in uno Slam. Si era messa in gioco per cercare quegli step che le mancavano, allo stesso modo si è rimessa in gioco pochi mesi dopo ripartendo da capo ed andando contro il volere del padre che chiedeva a gran voce l’allontanamento dal team del coach Witkorowski, ex capitano di Fed Cup della Polonia e uomo che ha accompagnato Agnieszka dal 2011.

Da giugno, dalla finale di Eastbourne, è la giocatrice che ha collezionato più punti assieme a Garbine Muguruza e Serena Williams e dal limbo oltre le top-20 nella Race, ora è risalita fino alla quinta posizione mondiale. Posizione soffiata proprio domenica a Petra Kvitova, comunque bravissima nel portare a termine un torneo complicato. Nella conferenza stampa al termine del primo match perso contro Angelique Kerber, ha rivelato di aver effettuato delle analisi del sangue dopo Pechino che l’avevano costretta a non allenarsi a pieno regime (tutto collegato alla mononucleosi). Alla fine è arrivata in finale, spinta da un cuore enorme. Faceva fatica a ripetere le stesse prestazioni un giorno dopo l’altro, ma dopo la maratona persa contro Muguruza ha avuto l’aiutone di Lucie Safarova che l’ha spinta in semifinale dove ha compiuto la bella impresa contro Sharapova. Di domenica, col tempo, non rimarranno che i 53 gratuiti spalmati in tre set. Peccato, perché era riuscita a trovare il modo per venir fuori dalla sabbia con 10-20 minuti di grande tennis cercando maggiore calma e meno frenesia e se è stata costretta a mollare la presa, è stato soprattutto a causa di un fastidio alla coscia destra che l’ha portata a forzare ogni colpo (dal 2-1 per lei al 5-3 Radwanska nel terzo set).

La polacca si coccola il trofeo più importante (al momento) della sua carriera, con la curiosità a questo punto enorme di scoprire cosa il futuro avrà in serbo per lei. Carriera che invece si è conclusa per Flavia Pennetta, di cui però c’è molto di cui andare fieri, come l’ultimo partita giocata contro Sharapova. La russa da quando l’azzurra è diventata grande (estate 2009) era sotto 0-3 nei precedenti e solo grazie ad un match strepitoso è riuscita ad interrompere le sconfitte. Sarebbe bastato un filo meno di attenzione e poteva essere lei a subire il 7-5 6-1 finale perché, soprattutto nel primo parziale, Pennetta ha avuto momenti in cui sembrava poter straripare come un fiume in piena.

Rimane un ultimo, ma non meno importante, appunto. L’uscita di Angelique Kerber in conferenza stampa dopo la sconfitta subita contro Safarova in merito a delle frasi riferitele, mentre loro erano negli spogliatoi, su quello che le serviva per qualificarsi («Tanti pensieri hanno affollato la mia testa, cosa dovevo fare… Alla fine non sono riuscita a tranquillizzarmi ed ad essere me stessa, servirebbe una contemporaneità in queste partite») che ha stroncato per la terza volta in tre apparizioni il suo sogno di salire in semifinale. Le sono arrivate alcune critiche, forse eccessive, perché la tedesca lì è stata soprattutto umana nell’ammettere cosa le sia capitato in una giornata molto difficile, al contrario di numerose altre circostanze dove in campo regalava partite straordinarie. E’ inutile girarci intorno, Kerber è stata protagonista di molte delle partite più emozionanti degli ultimi anni. Ne citiamo tre: contro Kvitova in Fed Cup dodici mesi fa, contro Radwanska nei quarti di finale di Stanford (con enorme probabilità la partita dell’anno) o quella cont
ro Azarenka al terzo turno degli US Open (l’unica che può realmente contenderle lo scettro).

Insomma, pur senza la presenza della n.1 del mondo ma con enormi interrogativi alla vigilia, è venuto fuori un torneo ricco di spunti, temi e belle partite. Forse tra i più belli e sorprendenti del 2015 assieme a Stoccarda (il lunedì è cominciato con Andrea Petkovic che – prima ancora dell’esordio delle giocatrici – ha dichiarato forfait per un problema alla gamba ed ha confidato ai giornalisti che il torneo ‘lo vince Kerber’, con la connazionale che al secondo turno avrebbe dovuto affrontare la quattro-volte vincitrice del torneo Sharapova. Guarda poi come è andata…) ed a Toronto, con la cavalcata di Belinda Bencic contro Eugenie Bouchard, Caroline Wozniacki, Sabine Lisicki, Ana Ivanovic, Serena Williams e Simona Halep. Non consideriamo lo US Open, ma solo perché sarebbe sprecato per un semplice anno solare.

 

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