Oh sorella, quando vengo a riposare tra le tue braccia

TENNIS – DA WIMBLEDON, RICCARDO NUZIALE – Il 26o scontro tra le dee nere del tennis, vinto da Serena 64 63, ha avuto il sapore romantico della fine, con la n.1 quasi attenta a non fare troppo male a Venus la sorella, Venus l’amica, Venus il modello di una vita intera.

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Oh sorella, quando vengo a riposare tra le tue braccia 
non dovresti trattarmi come un’estranea 
a nostro padre non piacerebbe come ti comporti 
e devi capire il pericolo
(Bob Dylan – Oh, Sister)

Il privilegio che la storia e il mito hanno voluto concedere a Suzanne Lenglen e Helen Wills, alla cui rivalità è bastato un solo match giocato per entrare nella leggenda (Cannes, 16 febbraio 1926), è dono degli dei di – consentiteci l’ossimoro – rara unicità.
 
E qualità di palcoscenico e partita del sipario non sono ovviamente decisi dalle due compagne di leggenda: Martina Navratilova e Chris Evert, ad esempio, si dissero addio a Chicago, finale del 1988, con un perentorio 62 62 che non fu specchio giusto per il duopolio probabilmente più grande della storia del tennis femminile. Andò meglio a Steffi Graf e Monica Seles, che con la semifinale 1999 del Roland Garros, vinta dalla tedesca 67 63 64, chiusero il loro cerchio, cominciato dieci anni prima sempre a Parigi.
 
Se il 26o scontro tra Serena e Venus Williams sia stato l’ultimo non ci è dato saperlo, ma un paio di dati non possono non essere considerati significativi: dal 1998 al 2009 le due si sono affrontate 23 volte, negli ultimi sei solo tre; non si affrontavano in un torneo dello Slam dalla finale 2009 dei Championships; non si affrontavano in un turno (major e non) così precoce da quasi 10 anni, precisamente dagli ottavi di finale degli US Open 2005.
 
Forse più importante di tutto, quello odierno è stato il primo scontro Slam con Venere afflitta dalla malattia che l’ha colpita nel 2011, la sindrome di Sjogren. Il che ha dato un sapore romantico, crepuscolare, caldo all’incontro.
 
Un incontro giocato mediamente bene, che ha ancora una volta evidenziato che livelli può raggiungere il tennis quando le due sono in campo, ma che ha avuto il pathos e l’imprevedibilità di una differita, di una pagina già stampata. E’ stata quindi una partita macchiata dal peggiore veleno agonistico possibile: il risultato non aveva niente da dire che già non si sapesse.
 
Un match iniziato con 8 punti di fila per Serena, un match che nel secondo set è stato sorretto con tutta la dignità di fuoriclasse decaduta da parte di Venus, capace di annullare palle break nei suoi primi due turni di servizio, prima di accettare l’inevitabile nel settimo gioco con un doppio fallo. Un 64 63 che fa ancor più male se si pensa che Serena l’ha ottenuto con la normalità più silenziosa, sommessa, consequenziale.
 
Alla vigilia Serena aveva sconfessato la pressione nel giocare contro la sorella, pressione che a sua detta soffriva nei primi anni di circuito, ma non ora. Difficile dire se sia stata verità o dolce bugia, perché le implicazioni nell’affrontare la sorella, l’amica, il punto di riferimento di una vita ora che è lontana dai suoi giorni migliori, ora che ha una malattia che le impedisce di essere in pieno la giocatrice che è (stata), sono innegabilmente opprimenti.
 
Oggi Serena, pur nella piena concentrazione e determinazione che meritava l’avversaria, è sembrata attenta anche a non esagerare, a non accelerare del tutto, a non voler fare troppo male, ad amministrare con la compassione di una sorella minore che non vuole mostrare i denti alla sorella maggiore.
 
Se ci perdonate l’anima nerd, è stato un incontro che ha tanto ricordato lo scontro finale tra Raoul e Toki, i fratelli per eccellenza di Ken il Guerriero, con Raoul commosso nel vedere troppo malato e debole quel fratello che era per lui sempre stato il modello da seguire.
 
Nelle dichiarazioni immediatamente successive alla partita, la sorellina ha confessato di non sapere quante altre opportunità di affrontarsi ci saranno, per poi approfondire in conferenza stampa che “non si sa mai. Erano sei anni che non ci affrontavamo (qui). Come ho detto, mi sono semplicemente goduta il momento. C’era una splendida atmosfera, era una situazione così grande, quando eravamo entrambe giovani e sognavamo di giocare a Wimbledon. Non solo abbiamo realizzato quel sogno, ma abbiamo vinto il torneo cinque volte. E’ davvero fantastico. Ho semplicemente avuto un’opportunità di riflettere su questo”.
 
Se non è una lacrima d’amore per la stanca sorella-faro, davvero non si sa cos’altro possa essere.

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