Quindici zero / Panatta, considerazioni sparse su una settimana al Roland Garros

TENNIS – Di Adriano Panatta

PARIGI. Considerazioni sparse su una settimana al Roland Garros, trascorsa sotto le insegne di Eurosport. Mi hanno dato il ruolo di guastatore. Mi piace. Mi aggiro fra campi e players lounge. Carinissimi, due dello staff di Eruosport mi accompagnano, un po’ mi trascinano. Mi sento come una madonnina. O peggio, una reliquia… 

Prometto al direttore (sì, insomma, Daniele) un articolo ora e uno a fine torneo, dopo che avrò commentato le battute conclusive del Roland Garros da Milano, con i giornalisti dell’emittente, bravissimi davvero, e con Gianni Ocleppo, che in quanto a battute improvvisate è un maestro. Mi diverto. E ringrazio. Ho l’opportunità di seguire il tennis da un’angolazione diversa.

Procedo…

Mamma li vecchi!

Saremo mica invecchiati male? Li guardo, gli amici di un tempo, e… Mamma mia. Siamo tutti vecchietti. Tutti tranne uno. Sbarco all’aeroporto, un carrello in una mano e uno nell’altra, e sento una voce che mi fa, «Ciao, Adriano». Lo guardo… E tu chi sei? «Pavel», mi fa. Sbalordisco. «Pavel Hutka». Oddio. Non lo vedevo dal match del 1976, quello del tuffo sul match point (il suo match point) in primo turno. Pavel, gli faccio sorpreso, ma sei… Imbellito. Capperi come sta bene l’Hutka… Ci batte tutti alla grande. Dopo 39 anni, il match point è suo.

Una mail di McEnroe

Anche John fa parte del team Eurosport. Lo guardo e strabilio. È sempre lo stesso, ha sempre le stesse simpatie e antipatie (Connors, Lendl), gioca sempre con lo stesso impegno. Due anni fa eravamo insieme, qui, per il torneo degli anzianotti (leggende, ci chiamano… In effetti, è meglio), poi ci siamo rivisti quest’inverno, per un doppio in Belgio. Siamo arrivati in semifinale e abbiamo perso per un break sul suo servizio. Lui non ci voleva stare e mise in piedi un casino che la metà bastava. Uscita di scena teatrale, senza salutare nessuno. Qualche giorno dopo gli mando una mail per ringraziarlo di aver giocato con me. Mi risponde subito. «Ho fatto casino, e abbiamo perso su quel mio servizio. Scusami tu». Come si può non volergli bene a un tipo del genere?

I pensieri di Nadal

Cerco Rafa per un’intervista, mi dice di sì, ci vediamo e mi batte la manona sulla spalla. Grande… Mi fa. Io? E tu, allora? Sembra tranquillo, rinfrancato, persino rilassato. La buona partenza in questo torneo, il match con Almagro in particolare, lo hanno tranquillizzato. Il favorito è Djokovic, lo so io e lo sa anche lui, ma Nadal prepara battaglia. E anche questo lo sappiamo entrambi. Qualche pensiero, però, spunta, qui e là nell’intervista che gli faccio per Eurosport. Gli chiedo perché non vada giù duro con il servizio. Seguo una mia idea, ovviamente: Rafa non è più un bimbo e alla sua età, più punti si fanno con il servizio, più energie si tengono da parte, più problemi si creano, gratuitamente, agli avversari. Mi risponde però che in questo momento non se la sente tanto, di forzare. Se sbaglio la prima, dice, gli avversari mi entrano dentro al gioco sulla seconda. Lo capisco. Ma è un Rafa ancora convalescente. Se no picchierebbe duro su tutti i colpi.

I set point di Kim

Mi dà una mano anche Giorgio Di Palermo, un amico. Lo ringrazio. È uno di quelli con cui parlare di tennis è divertente. Infatti, mi sciolgo. L’argomento è il seguente… Tutte le cose strane che succedono in campo. Gli racconto dei set point di Warwick, una storia che non sapeva. Finiamo accasciati dal ridere. Successe al Queen’s, l’anno dopo gli undici match point di Roma. Kim era un amico, come tutti gli australiani di quel periodo. Da Roma al Queen’s, però, non mi capita più di incontrarlo. E in campo, sull’erba, siamo subito 5-0 per lui. Set point. Glielo annullo, 5-1… Altro set point, annullo pure quello, 5-2… E così, via, fino al 5 pari. Sette set point. 7-5 per me. Lì, Kim viene a rete, mi chiama. Con te non gioco più, mi dice. Ma dai Kim, che ti prende, finiamo questa partita. No, basta, me ne vado. E se ne va, con l’arbitro che se la ridacchia e io che cerco di riportarlo dentro al campo. Incredibile.

Le racchette per terra

Giorgio mi dice una cosa giustissima su Nadal. «Non gli ho mai visto buttare una racchetta per terra». Ha ragione, penso. È davvero un’immagine che, per quanto mi sforzi, non riesco a focalizzare. Rafa, in campo, è perfetto, un grande esempio di sportività. Rispetto, è la parola giusta. Per gli avversari, per il pubblico, e per se stesso. Mi propongo subito anch’io… Mi avete mai visto buttare una racchetta per terra? Giorgio non è convinto. Daniele neppure. Mi stanno facendo venire dei dubbi. Ma davvero buttavo anch’io la racchetta per terra?

Evviva Francesca!

Federer è il tennis. Francesca è il tennis al femminile. L’accostamento è troppo forte? Non importa. Federer mi piace gustarmelo, quando gioca. E Francesca Schiavone mi riconcilia con il tennis al femminile. E scusate se è poco. La considero un’artista della caciara. Come sa buttarla in caciara lei, nessuna. Occorre saperci fare, badate… Variazioni a non finire, fino a far perdere la bussola alle avversarie. Bravissima. E sono felice per questo suo Roland Garros, vada come vada.

 

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