Ace Cream / La migliore edizione degli Internazionali. Ma non è un complimento

TENNIS – Di Daniele Azzolini

Fissate l’immagine su questi Internazionali, potete scegliere un giorno qualsiasi, uno degli ultimi è meglio, e scattate. Conservatela, quella foto. E riguardatevela, se vi va, fra un anno o due.

Sarà utile per verifica e confronto, ma penso di potervi già anticipare il verdetto. Non ci saranno edizioni degli Internazionali migliori di questa. E non è un complimento.

Il Parco del Foro sarà oggetto di nuove ristrutturazioni, qui e là di ulteriori ripuliture. Il lavoro svolto sin qui dalla Coni Servizi è stato magnifico, meriterebbe una celebrazione romana, un ringraziamento pubblico. Mi chiedo se Roma fosse a conoscenza di quel bene supremo nascosto sotto la polvere degli anni. O ritenesse solo di avere uno stadio, da quelle parti, e un po’ di campi da tennis, e qualche muretto da riempire con scritte per lo più stupide… Lo sport fra i marmi fu un colpo di genio degli architetti-artisti del periodo razionalista, la natura agonistica dell’uomo che si sprigiona davanti alle statue che ne raccolgono e trattengono l’essenza più alta, e assurgono a divinità invitando gli atleti a fare altrettanto. Lo sport non ha mai ricevuto un tributo simile dall’arte.

Due chiacchiere con Nepi Molineris, l’architetto del Coni che negli anni si è occupato della ristrutturazione dell’impianto, annunciano nuovi spazi da esplorare e, forse, adattare al tennis, qualche posto in più sull’Arena, e un tetto per il Centrale, prima o poi. Il torneo potrà migliorare i suoi record di mille o duemila biglietti venduti, ma non cambierà la sostanza dell’evento. Per quella, mi chiedo se non sia troppo tardi e se le scelte fatte (come sempre avallate al netto di qualsiasi critica, dalla schiamazzante torma di colleghi benedicenti) siano state appropriate. Temo di no, anche considerando le difficoltà nelle quali gli organizzatori sono costretti a muoversi.

Partiamo da una semplice considerazione. L’Italia non ha più tennis, se si escludono gli Internazionali. Non ho alcuna intenzione di propinarvi la solita lamentela su quanti tesori avevamo (Palermo, Genova, Bari, Merano, Bologna, Milano indoor, Firenze…) e quanto poco sia rimasto. E nemmeno chiedermi, o chiedervi, che cosa sia stato fatto per salvaguardarli. Tiriamoci una riga sopra e atteniamoci al presente. Sette giorni di tennis, uomini e donne assieme, con i migliori in campo da martedì se va bene, o da mercoledì se nel frattempo uno di loro non ha deciso di mettere al mondo una cucciolata di gemelli. E in cinque giorni, tutto è finito, i campioni se ne vanno, e di tennis in Italia se ne riparla dopo un anno. Mi fanno sapere che si tratta, comunque, di edizioni da record… Che il conto economico non è certo in rosso… Che il tutto esaurito per le fasi finali è stato segnato con due o tre mesi di anticipo. Bene, benissimo anzi. Soldi che serviranno a mantenere alto il livello del torneo, e magari a garantire continuità alla tivvù federale. Ma che volete farci? Resto convinto che l’Italia meriterebbe… più tennis in Italia.

Quando ne parliamo, fra colleghi, mi diverto a calare la solita provocazione. Avevamo due settimane di tennis, dico, perché non le abbiamo difese? Quanto meno, si scriveva più a lungo del nostro sport, presentavamo personaggi e storie, invitavamo i lettori a interessarsi più da vicino ai protagonisti del circuito. Mi rispondono quello che già so, per di più con l’aria scandalizzata e/o spazientita di chi è costretto a trattare con un residuato del secolo scorso, molto tradizionalista e anche un po’ rincoglionito… Il combined è una conquista (perché? Chi lo ha detto?), nei primi giorni del femminile si moriva di tristezza e non era certo un bello spot per il nostro sport. Mettiamola così… È tutto vero, ma erano quindici giorni solo per il tennis, e non è difficile rendersi conto di quanto sarebbero utili oggi. Basterebbe togliersi i prosciutti (ma che dico i prosciutti, le fiorentine con l’osso…) dagli occhi. E se proprio non ce la fate a compiere una simile impresa, buttate un occhio sui giornali per i quali scrivete. Una Errani in finale, domenica, appariva con un titolo di “sotto testata” sulla Gazzetta, laddove regnava l’apertura sul Cholo vincitore in Spagna (sfilze di lettori alle edicole… Fatemi leggere di Simeone, presto, ditemi tutto dell’Atletico Madrid!); lo stesso sul Corriere dello Sport, mentre Tuttosport (ma loro li capisco…) ha ritagliato una spalletta con tre righe miserelle di titolo all’apertura sulla Juventus, dove si sosteneva che Sara avrebbe potuto farcela contro la Williams.

Torniamo a noi. Quelle due settimane sarebbero utili, si diceva… Per rilanciare la nostra organizzazione tennistica, a esempio. Per saziare i veri appassionati di tennis. E anche per offrire al torneo la possibilità di crescere ancora. Gli Internazionali di oggi, versione combined, girano al massimo delle loro possibilità. Di più non si può fare. Qualcosina… Forse. Ma poco. Per ipotizzare una crescita futura, occorre riposizionare il torneo sulla distanza dei quindici giorni. Sempre combined (ci mancherebbe), ma alla maniera di Indian Wells e di Miami. Se no, accontentiamoci di vedere “questo” stesso torneo per i prossimi “x” anni: cambierebbero i protagonisti, non il quadro d’assieme. Formula “tennis interruptus”…

Ultima pagina… Dove trovarla questa settimana in più? Nei giorni del torneo, capita di incrociare colleghi (ottimi e abbondanti) che si occupano di tennis per sei giorni l’anno, o che non hanno mai visto Wimbledon, e spetezzano come se il primo filo d’erba l’avesse piantato il loro nonno. Alcuni di loro sono autentici portatori di traveggole, e ci illuminano con fantasiose dicerie, tratte dal miglior repertorio dell’innominabile che c’era una volta (e scusate se questa frase risulterà incomprensibile ai più, ma ve la prendete così). Roma è il quinto Slam (!?), Roma avrà gli stessi vincitori di Parigi, e via amplificando, con questo impianto Roma è già meglio di Parigi. Il botto finale è il seguente: fra Roma e Madrid saranno i giocatori a indicare che le due settimane vanno date al Foro Italico.

Niente è impossibile. Nemmeno che i giocatori escano dal seminato per indicare quel torneo o quell’altro… Ma non credo che la battaglia fra Roma e Madrid (se battaglia vi sarà) si possa risolvere con facili battute. Ion Tiriac, solo per fare un esempio, sostiene che Madrid le due settimane le ha già, non ancora assegnate dal calendario, ma pagate di anno in anno come se fossero davvero disponibili. È nelle stesse condizioni Roma? E se mai si dovesse arrivare al dunque, è migliore l’attuale posizione degli Internazionali o quella del torneo madrileno, visto che un Masters Series a ridosso del Roland Garros vedrebbe contrari prima di tutti gli stessi organizzatori dello Slam? Mi chiedo se queste stesse considerazioni siano state valutate a fondo, quando si è deciso di accettare questo calendario. Mi chiedo anche se articoli del genere interessino a qualcuno… Non lo so. Ma non saperlo è il punto di partenza del giornalismo. Quanto meno, così mi avevano insegnato.

 

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