Federer e l'arte del provare

 

“Provare” è spesso una parola ignorata. Spesso anche per colpa di chi la usa. Anche se poi, alla fine, la usiamo tutti. Chi prima, chi dopo. Ora, è anche vero che molto spesso “ci provo”, “ci proviamo”, “ci proverò”, lascia intendere che la linea tra il “provare” (appunto) e “riuscire”, sia in fondo molto, molto sottile. Dunque, nell’ascoltatore (o nel lettore, dipende dai casi), questa parola sfugge. Non viene semplicemente presa in considerazione. Ecco, nel caso specifico del tennis, e nel caso ancor più specifico di Roger Federer, da ora in poi questo singolo termine dovrebbe essere quantomeno pesato nel modo giusto.

 Ad ogni conferenza stampa, ad ogni intervista, lo svizzero ha usato in abbondanza il “try”. Ora, anche Nadal lo usa spesso (“Try my best” è ormai davvero un must per grandi e piccini), ma nel caso di Rafa, quella linea di cui sopra ormai sembra davvero no sottile, inesistente. Adesso, gli appassionati, i tifosi, i detrattori, tutti quanti insomma (anche gli addetti ai lavori), si dovrebbero rendere conto che nel caso di Federer il “provare” non è “riuscire”. Anzi, tutt’altro.

 L’ex numero uno del mondo, prima di Shangai, aveva chiaramente detto che voleva giocare e che avrebbe provato a fare del suo meglio. Niente di più, niente di meno. Nella conferenza stampa dopo la sconfitta contro Monfils, lo svizzero ha precisato che PROVERA’ a giocare e a vincere qualche partita a Basilea e a Parigi, ma è lampante che nessuno si deve aspettare chissà cosa. Federer ha già fissato la sua (eventuale) rinascita al 2014, dove lui si dice sicuro di tornare a vincere. Il cosa lo renda così sicuro di tornare in vetta o giù di lì (“Non avrò molti punti da difendere”), è un chiaro segno che lo svizzero non ci sta a finire la carriera fuori dai top ten o in prossimità.

 Tutto questo percorso per dire cosa? Semplice: che non si deve prendere come un dramma incredibile ogni sua sconfitta da qui in avanti (diciamo fino agli Australian Open, toh), e che forse tutti noi abbiamo sottovalutato un po’ troppo una frase buttata lì da Roger proprio ad inizio anno, quando aveva dichiarato in una conferenza stampa “Questo sarà un anno di transizione”. Riferendosi chiaramente al 2013. Ora, è stato molto peggio di un semplice anno di transizione, è stata una caporetto sotto ogni punto di vista.

 Forse, mi rendo conto, ci stiamo davvero appigliando un po’ a tutto, per non dire che la festa è davvero finita, tanti saluti e grazie. Se sia arrivato al capolinea, lo può sapere solo lui. Come si sente in campo, lo può sapere lui. Tutti noi possiamo solo vederlo, e dispiacerci un po’, visto che ora come ora, quello che è stato chiaramente non c’è più. Nel 2009, quando già i De Profundis erano iniziati, dopo l’epica sconfitta di Montecarlo contro Wawrinka disse: “Vado a Madrid per vincere”. Tutti ridemmo. E lui vinse. Non solo in Spagna, come tutti ricordiamo.

 Ecco, alla fine della storia dovremmo pensare, anzi “provare”, ad ascoltare più Federer sulla sua carriera. Non sarebbe male, no?

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