Tre su cinque anche per le donne: si può?

La dichiarazione/provocazione di Stacey Allaster ha scatenato diverse reazioni nel mondo del tennis. Ma un torneo dello Slam giocato sulla lunghezza dei tre set su cinque è applicabile anche per il tennis in gonnella? E, se sì, quali sarebbero le conseguenze per le giocatrici e gli spettatori?

Stacey Allaster, chairman e CEO del circuito WTA, ha tuonato in settimana dichiarando che le giocatrici sono pronte per disputare gli Slam al meglio dei cinque set, proprio come avviene in campo maschile e quindi guadagnare le stesse cifre dei maschietti. Infatti, se ciò dovesse divenire realtà, verrebbe a cadere la “difesa” più diffusa tra i tennisti nel giustificare la discrepanza di prize money che intercorre tra il tabellone maschile e quello femminile. I giocatori, infatti, quando vengono stuzzicati sull’argomento quasi all’unisono giustificano i privilegi di ordine economico dal fatto che le prove dello Slam maschile sono più dure ed impegnative rispetto a quelle delle colleghe per, appunto, la diversa formula riguardante la lunghezza degli incontri. L’ultimo, in ordine di tempo, dei rappresentanti dell’ATP a rilasciare dichiarazioni a riguardo è stato niente meno che Andy Murray che, rispettando l’ormai consueta tradizione, ha espresso anch’egli perplessità sull’adeguamento dei montepremi nelle prove dello Slam scatenando la suddetta reazione della Allaster.

Arriviamo, dunque, al cuore del problema. Quali potrebbero essere le conseguenze di un eventuale cambiamento? Innanzitutto occorre considerare il punto di vista della mera organizzazione di un ipotetico Slam giocato al meglio dei cinque set per entrambi i tabelloni. Appare da subito evidente che due settimane
sarebbero troppo poche, e allora che fare? Prolungare ogni prova di una settimana? In questo modo a fine anno si avrebbe un mese in più di tornei dello Slam, allungando quindi il calendario a discapito di settimane di tornei minori che equivalgono in settimane di riposo per i più forti. Per la già complessa struttura dei
calendari, sarebbe una modifica tanto radicale quanto irrealizzabile.

Oltre all’organizzazione, che resta una tematica di prima importanza, occorre considerare le conseguenze per il pubblico e per lo spettacolo offerto. A ben vedere, non sembrerebbe allettante la possibilità di seguire (dal vivo o in tv) un secondo turno femminile che termina 6-4 al quinto dopo cinque ore. Ad oggi, il tennis femminile non pare in grado di saper reggere una tale lunghezza senza sfinire il pubblico. Diverso sarebbe, invece, poter assistere ad un match tra le prime giocatrici del mondo, ad esempio AzarenkaWilliams, ma, come da sempre sostiene Rino Tommasi, è da ritenersi ingiusto disputare uno stesso torneo su due lunghezze diverse.

Una soluzione interessante a riguardo fu “brevettata” nel Master conclusivo negli anni ’86-’87-’88, formula che ebbe un discreto successo anche (o soprattutto) per la presenza di sole “top player”. Questa del Masters pare ragionevolmente la soluzione più idonea per sperimentare i tre set su cinque tra le donzelle; congiuntamente a questa, si potrebbe provare anche nei week end di Fed Cup che restano un appuntamento relativamente corto in quanto copre solo tre giorni di competizioni.

Al meglio di tre o di cinque set, la realtà che appare evidente oggi più che mai è che l’appeal ed il seguito che ha il circuito maschile è di gran lunga maggiore a quello riscontrato nel WTA. Le folle che riescono a muovere superstar assolute come Federer e Nadal non sono neanche lontanamente paragonabili alle capacità attrattive di Serena Williams o Maria Sharapova (sponsor a parte). Negli ultimi cinque anni almeno si è registrata sempre con maggior vigore questa tendenza che porta stadi pieni e milioni di telespettatori incollati alla tv quando ci sono gli uomini in campo, mentre altrettanto non può dirsi per le donne. Dato che tutta questa popolarità si traduce in incassi maggiori per chi vende i biglietti e per le tv, appare in questo senso legittimo che gli uomini siano premiati più delle donne.

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