Valeria Patiuk, un altro "caso Peer" in Venezuela

Nel 2009, nonostante disponesse di tutti i requisiti per entrare nel main draw, Shahar Peer, solo per la sua nazionalità israeliana, si vide negare il visto d’ingresso negli Emirati Arabi, dove avrebbe dovuto prendere parte alla ricca prova WTA di Dubai. All’epoca il torneo fu multato di 300mila dollari, la Peer fu parzialmente risarcita in termini di punti e alcuni giocatori si schierarono decisamente dalla sua parte: su tutti Andy Roddick, che decise di non partecipare per solidarietà e protesta all’evento ATP.

A distanza di quasi quattro anni, ci risiamo. Stavolta il teatro del visto mancato è il Venezuela, e la vittima dell’ingiustizia la giovane Valeria Patiuk, sedici anni e mezzo, una delle migliori junior al mondo. La Patiuk ha provato in tutti i modi a ottenere la possibilità di entrare nel Paese sudamericano per disputare un torneo under 18 di categoria G1 (la più alta dopo gli Slam), che mette a disposizione molti punti, nel quale sarebbe stata la numero 3 del seeding.

Negli ultimi tre mesi Valeria e il suo coach Assaf Yamin – che attualmente si trovano in Costa Rica per un altro torneo junior – hanno scambiato dozzine di email con le autorità preposte. La Patiuk ha addirittura visitato l’ambasciata venezuelana in Costa Rica, dove ha mostrato una lettera d’invito ufficiale giuntale dalla federezione tennistica del Venezuela. Gli sforzi non sono però stati sufficienti, perché non è mai arrivata alcuna risposta.

«Per me è triste non poter competere in un evento così importante per motivi politici», ha dichiarato la Patiuk. «Lo scopo principale dello sport è portare gli atleti insieme senza guardare alla religione, alla razza o al genere. Sono profondamente dispiaciuta che mi sia stato impedito di giocare per la mia nazionalità israeliana».

«Abbiamo provato a ottenere il visto quando eravamo in Israele», ha spiegato il coach Yamin, «ma ci è stato detto di farlo tramite una terza nazione a causa delle relazioni internazionali tra Venezuela e Israele. Siamo arrivati all’ambasciata venezuelana in Costa Rica con tutti i documenti che ci avevano detto di portare: certificati dalla polizia, verifiche sui conti in banca, lettere delle federazioni tennistiche israeliana e venezuelana, dell’ITF e del direttore del torneo».

«Per mancanza di tempo», ha ripreso la Patiuk, «abbiamo chiesto alla federazione tennistica venezuelana di contattare l’ambasciata in Costa Rica, affinchè il visto potesse essere rilasciato in tempo. Un ufficiale del torneo ha contattato l’ambasciata, ma quando siamo andati lì, ci hanno fatto aspettare con scuse ridicole e non hanno nemmeno dato un’occhiata a tutti i documenti che avevamo preparato per loro. Poi ci hanno detto che avremmo potuto fare domanda per un visto solo in Israele, anche se lì non hanno nessuna delegazione o contingente diplomatico».

«Quello che mi lascia sbigottita», ha concluso Valeria, «è sapere di molti israeliani che ricevono visti per il Venezuela tramite una terza nazione, ma in questo caso, poiché era una delegazione sportiva ufficiale ci hanno fatto tutte queste difficoltà. Sfortunatamente, l’ITF non sta mettendo loro abbastanza pressione, perché se ci fossero sanzioni per un torneo internazionale in Venezuela, il paese ospitante dovrebbe essere certo che ogni giocatrice possa competere lì, senza pregiudizi».

In effetti, nel caso della Peer, gli organizzatori di Dubai, viste le sanzioni prese nei loro confronti, hanno decisamente cambiato atteggiamento, giungendo, l’anno scorso, a offrire alla stessa Shahar una wild card per il tabellone principale, visto che, nel frattempo, la sua classifica era peggiorata. Staremo a vedere se la Federazione Internazionale si attiverà anche stavolta alla stessa maniera, per garantire uguali opportunità andando oltre ogni insensato pregiudizio.

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